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Attrezzature territoriali e urbane

Roma, Dives in Misericordia: l’attrezzatura religiosa come elemento cardine della rigenerazione di Tor Tre Teste; arch. Richard Meier.
Roma, Dives in Misericordia: l’attrezzatura religiosa come elemento cardine della rigenerazione di Tor Tre Teste; arch. Richard Meier.

Definizione – Etimologia

È lo spazio e il complesso dei mezzi funzionali allo svolgimento di una o più attività di servizio in ambito urbano o territoriale. L’attrezzatura è di uso collettivo e può essere pubblica o privata. Si caratterizza per dimensione, ubicazione, qualificazione e raggio d’influenza.
Il termine deriva dal francese antico atrait (pl. atraits) che, a sua volta, proviene dal latino attractum, attrahere. Rimanda al plurale di attrezzo ed è riferibile al corredo di arnesi predisposti all’esercizio di una determinata attività. Dal punto di vista etimologico, quindi, l’attrezzatura è strettamente connessa al servizio che è chiamata a espletare.

Pertanto, non ci può essere attrezzatura che non sia destinata allo svolgimento di un servizio; benché esista la possibilità di un servizio fornito senza una specifica attrezzatura (assistenza domiciliare, teleassistenza). Di conseguenza, va sottolineato come sia difficile trattare separatamente attrezzature e servizi: le due questioni, infatti, sono intrinsecamente correlate e, peraltro, il problema dell’attrezzatura non è mai lo spazio, o la forma costruita che esso può assumere, quanto piuttosto la sua capacità a fornire uno o più servizi.

Cenni storici

Il rapporto tra attrezzature, servizi, residenza e mobilità è uno dei presupposti teorici fondativi del testo inaugurale della disciplina: la Teoria Generale dell’Urbanizzazione di Ildefonso Cerdà (1867). Per la prima volta l’urbanistica si occupa del sottosuolo pianificando il sistema dei servizi a rete indispensabili per il funzionamento della nuova civiltà dell’igiene, tra cui vi è anche la predisposizione dei canali al fine di mantenere l’acqua in pressione per le autocisterne dei pompieri.

In superficie, Cerdà immagina una distribuzione delle attrezzature in rapporto all’organizzazione complessiva del territorio in tre livelli:

  • Il primo riguarda la dotazione dell’isolato, dove sono contenute una serie di indicazioni sullo spazio pubblico che, nell’idea di città dell’ingegnere spagnolo, rappresenta la prima delle attrezzature strategiche per la qualità urbana.
  • Il secondo concerne l’urbano con i suoi edifici scolastici e amministrativi, centri sociali, mercati, parchi. Per ogni attrezzatura è individuata una posizione specifica, una determinata quantità di superficie e un raggio d’influenza.
  • L’ultimo livello è inerente alle attrezzature territoriali in cui rientrano, ad esempio, gli ospedali. La loro localizzazione è rigorosamente legata all’accessibilità che, per Cerdà, può essere garantita solo attraverso la pianificazione della mobilità a scala provinciale.

Questo schema concettuale, però, non ha avuto posterità. Il dibattito disciplinare seguente prenderà una direzione diversa e, per certi versi, opposta: mettere in relazione la quantità di attrezzature con la popolazione da insediare (o insediata).

Durante il Movimento Moderno, l’idea prevalente è quella di ricercare la proporzione ideale tra abitanti, attrezzature ed estensione territoriale: un’indagine che diventerà il principale presupposto per migliorare la qualità urbana. È la tesi di Le Corbusier, in Maniera di pensare l’urbanistica (1943), per il quale le attrezzature sono gli strumenti indispensabili che agevolano le funzioni della vita: abitare, lavorare, coltivare il corpo e lo spirito. Per lo stesso Le Corbusier il problema residenziale non consiste solo nella costruzione degli alloggi ma anche di quei servizi essenziali che devono trovarsi nelle immediate vicinanze della casa stessa: i prolungamenti delle abitazioni che divide in due ordini. Puramente materiale il primo che consiste nei servizi domestici, sanitari, nella cura e nel miglioramento fisico del corpo; più spirituale il secondo che attiene alle scuole materne, elementari e professionali.

Rispetto a questa posizione dominante, una delle poche voci di dissenso è quella di Giancarlo De Carlo che ritiene necessario svincolare l’idea di efficienza territoriale dal numero di abitanti presenti in un’area per legarla, invece, al raggiungimento di uno stabilito livello del rapporto tra attrezzature e città, in relazione alle potenzialità del contesto in cui si opera. In La pianificazione territoriale e urbanistica nell’area milanese (1964) De Carlo arriva a chiarire che il problema non sta nel predisporre l’organizzazione dello spazio in relazione al numero di abitanti che si prevede di ospitare in un determinato orizzonte temporale, quanto piuttosto nel raggiungere i livelli di insediamento ritenuti necessari ad un dato grado di sviluppo economico, sociale e tecnologico del territorio.

Inquadramento normativo

1963: Il film Le mani sulla città di Francesco Rosi è la perfetta espressione della pianificazione tradita. Ma anche delle grandi speranze di un’epoca. Negli anni Sessanta, le ricerche del Centro studi della GESCAL (Gestione Case Lavoratori), dell’ISES (Istituto per lo Sviluppo dell’Edilizia Sociale) e dell’INArch (Istituto Nazionale di Architettura), sono la testimonianza della straordinaria convergenza di progetti, idee e interessi culturali chiamati a collaborare a un unico disegno: la formazione dei piani per l’edilizia economica e popolare. Uno degli esiti più significativi è la Circolare Ministero dei Lavori Pubblici 29.1.1967, n. 425 che divide le attrezzature in tre tipologie. La prima riguarda l’unità di abitazione o, comunque, un massimo di 1.500 abitanti con specifico riferimento ai locali tecnici, negozi, autorimesse, ambienti per giochi collettivi infantili e per il tempo libero degli adulti. La seconda comprende le attrezzature di carattere urbanistico-residenziale per un insediamento superiore a 1.500 abitanti e si riferisce all’istruzione, educazione, cultura; alle esigenze di carattere previdenziale, assistenziale e sanitario; alle attività religiose e di culto; all’accesso ai beni di consumo; alla rigenerazione fisica, al gioco, allo sport e al tempo libero. L’ultima attiene alle attrezzature di carattere generale, urbane o territoriali.

Particolare attenzione è posta al raggio d’influenza da cui deriva una duplice esigenza: facilitare l’accesso alle attrezzature poste nei pressi delle abitazioni, attraverso una loro corretta dislocazione nell’ambito dell’insediamento residenziale e garantire la fruibilità di quelle urbane e territoriali attraverso l’efficienza del sistema dei trasporti pubblici e il rapido collegamento alla grande viabilità.
Il dimensionamento delle attrezzature è impostato su un unico criterio guida: il numero di abitanti. A tale fine sono indicati dati e indici ottimali che devono rappresentare il riferimento per la costruzione del piano e dei quali occorre dar conto nella relazione di progetto.
La Circolare rappresenta l’impalcato normativo e culturale sul quale si innestano la legge del 06/08/1967, n. 765 e il Decreto Interministeriale del 2.4.1968, n. 1444 che precisa i rapporti massimi tra gli insediamenti residenziali e le attrezzature da osservare per la formazione dei nuovi strumenti urbanistici o della revisione di quelli esistenti. Il decreto è la traduzione numerica della quantità che spetta a ogni abitante.

La dotazione pro-capite è un diritto con tre soglie territoriali differenti. Quella del quartiere fa riferimento alle destinazioni non specificamente residenziali ma strettamente connesse con le residenze: 5 m2/ab ogni 25 m2 di superficie residenziale. Le destinazioni d’uso riguardano negozi, servizi collettivi per le abitazioni, studi professionali.

La seconda è quella urbana: ogni nuovo insediamento residenziale deve assicurare la dotazione minima di 18 m2/ab per spazi pubblici o riservati alle attività collettive, a verde attrezzato e a parcheggio, con esclusione degli spazi destinati alle sedi viarie.

In ultimo, la soglia territoriale. La zona omogenea F è dedicata esclusivamente agli spazi per le attrezzature pubbliche d’interesse generale che vanno previste, quando ve ne sia l’effettiva necessità, in misura non inferiore a 17,5 m2/ab così suddivisi: istruzione superiore all’obbligo (1,5 m2/ab), sanitarie e ospedaliere (1 m2/ab), parchi urbani e territoriali (15 m2/ab).
Tra inderogabili ed eventuali si giunge a 40,5 m2 per ogni abitante. Una generosità previsionale di attrezzature che raramente ha trovato riscontro nella realtà. Per essere attuata in modo omogeneo, una previsione valida su tutto il territorio nazionale, imporrebbe eguali condizioni di contesto ambientale, sviluppo economico e capacità amministrativa: non è mai stato così. E ciò ha comportato differenti velocità nel processo attuativo. D’altro canto, il decreto fa coincidere la qualità urbana con la previsione delle aree per attrezzature e non con l’effettiva erogazione del servizio. Infatti, la corrispondenza numerica tra le esigenze della comunità e la quantità auspicabile di attrezzature per ogni abitante, obbliga il piano urbanistico a prevedere le aree in misura adeguata ai calcoli matematici. Aree che, spesso, non essendo di proprietà pubblica, dovranno essere espropriate. In seguito, sarà necessario trovare la disponibilità economica per la procedura d’appalto e la successiva fase di realizzazione e, infine, immaginare (e finanziare) la fase di gestione dell’attrezzatura: l’unica in grado di garantire la reale fornitura del servizio.
Un processo difficile da portare a compimento. Soprattutto dopo la legge del 19/11/1968, n. 1187 che, per obbligo derivante dalla sentenza della Corte Costituzionale del 9/5/1968, n. 55, stabilisce in cinque anni il tempo massimo per espropriare le aree destinate ad attrezzature. Si avvia così un processo tale per cui molti enti locali, pur avendo accantonato le aree per le attrezzature, raramente sono riusciti ad arrivare all’effettiva fornitura dei servizi previsti, prima della decadenza dei vincoli.

Evoluzione del concetto

Il dibattito disciplinare successivo tenderà a rivedere la logica sottesa al Decreto Interministeriale 1444/68. A testimoniarlo sono le trasformazioni del quadro giuridico-amministrativo.
Alla fine degli anni Ottanta, la Comunità Europea istituisce i Progetti Pilota Urbani la cui finalità è sostenere in modo innovativo la riqualificazione urbana nell’ambito di una più vasta politica di coesione sociale ed economica. Si avvia così un processo di rigenerazione in cui l’ente locale recita un ruolo di primo piano tanto nel coordinare soggetti istituzionali e altri operatori quanto nel dare forma al coinvolgimento e alla partecipazione della popolazione nella determinazione delle attrezzature e dei servizi più adeguati al contesto dell’intervento. Procedura che, in Italia, diventerà prassi non soltanto per le successive iniziative della Comunità Europea ma anche all’interno dei programmi complessi.
La sentenza della Corte Costituzionale del 12/5/1999, n. 179, nel dichiarare l’illegittimità della reiterazione dei vincoli urbanistici preordinati all’esproprio senza la previsione di un indennizzo, apre le porte al convenzionamento con i privati per la realizzazione delle attrezzature. Il problema che ne consegue consiste nella ridefinizione, non soltanto semantica ma anche giuridica, tra ciò che può essere considerato pubblico e ciò che può essere considerato privato. È sufficiente pensare alle declinazioni che può assumere il termine attrezzatura: collettiva, pubblica, d’interesse generale, di pubblica utilità o d’interesse pubblico. Nella prospettiva di uno scambio leale a tutela dell’interesse generale, diventa fondamentale capire quale sia il ruolo del potere pubblico, e quali le giuste attese di profitto da parte del privato. D’altra parte, se è facile intravedere la reciproca soddisfazione nell’ambito di quelle attrezzature remunerative (centri congressi, auditorium, multisale cinematografiche con tutte le attività di svago connesse ma anche servizi sanitari, scolastici e per gli anziani), è necessario delineare la funzione del privato nelle situazioni in cui la redditività è più di natura sociale o ambientale.
Nel 2001 vi sono due passaggi normativi importanti. La Direttiva 2001/42/CE del parlamento europeo e del consiglio che istituisce la VAS (Valutazione Ambientale Strategica) al fine di garantire che gli effetti sull’ambiente derivanti dall’attuazione di piani e programmi siano presi in considerazione durante la loro elaborazione e prima della loro adozione. Dal punto di vista metodologico significa dare impulso a un nuovo modello di pianificazione in cui i valori ambientali non solo hanno un ruolo rilevante, ma spesso sono gerarchicamente prevalenti su quelli dell’urbanistica. Questo ha delle ripercussioni nel modo di intendere una pluralità di attrezzature. Particolarmente evidenti sono i casi del verde urbano e dei parchi per i quali viene messo tra parentesi il concetto della dotazione pro-capite in favore di considerazioni più legate al contenimento del consumo di suolo, alla tutela delle risorse naturali e, più in generale, al miglioramento della qualità della vita.
Con la riforma del Titolo V della costituzione (L. costituzionale 3/01) uno dei temi centrali è il governo del territorio. Ciò impone una riflessione sulla ripartizione delle competenze tra Stato, Regioni ed Enti locali e di conseguenza anche su attrezzature e servizi. Soprattutto in relazione al fatto che viene introdotto il concetto dei livelli essenziali delle prestazioni come diritto che va garantito su tutto il territorio nazionale. Secondo la logica prestazionale la riserva di aree da destinare ad attrezzature è funzionale all’effettiva erogazione del servizio nel rispetto di standard qualitativi che si misurano anche in rapporto alla soddisfazione degli utenti, e non certo rispetto a una corretta contabilizzazione numerica.
Con la finanziaria 2008 (L. 244/07) l’edilizia residenziale sociale diventa essa stessa attrezzatura in aggiunta alle aree necessarie per le superfici di cui al Decreto 1444/68. Grazie ad un aumento di volumetria premiale, si apre la possibilità che all’interno degli strumenti urbanistici siano definiti ambiti la cui trasformazione è subordinata alla cessione gratuita da parte dei proprietari di aree o immobili da destinare a edilizia residenziale sociale. Una situazione che sancisce, probabilmente in via definitiva, la necessità di un rapporto strutturale fra pubblico e privato ai fini della realizzazione delle dotazioni territoriali.
Benché questi provvedimenti legislativi abbiano radicalmente cambiato il quadro concettuale e operativo, il Decreto 1444/68 è, ancora oggi, tra i principali riferimenti per la realizzazione delle attrezzature. In vista di una riforma organica di governo del territorio, occorre lavorare sul suo aggiornamento a partire da alcune evidenze che i mutamenti sociali, politici ed economici degli ultimi anni hanno posto all’attenzione dell’urbanistica.
È necessario prendere atto che l’elenco delle attrezzature si è notevolmente arricchito. Vi sono nuove esigenze che riguardano la popolazione, in particolar modo la più giovane e la più anziana, la cultura, il tempo libero, la formazione, la cura del corpo e lo sport. Tali esigenze richiedono nuovi criteri che identifichino la giusta misura in modo più prestazionale che numerico; più indirizzato alla qualità urbana che non alla riserva di una certa quantità di aree; più legato alla soddisfazione degli utenti e dei soggetti erogatori del servizio che al rispetto di uno standard.
Inoltre, poiché le attrezzature coinvolgono più settori disciplinari e fanno riferimento a un apparato di norme eccessivamente disarticolato, occorre prestare maggiore attenzione all’integrazione delle diverse politiche in ambito urbanistico, sociale ed economico. Alcune riforme settoriali (socioassistenza, sanitaria, istruzione) hanno evidenziato quanto siano rilevanti, ubicazione, possibilità d’uso e accessibilità delle attrezzature ai fini dell’efficace ed efficiente fornitura del servizio. Di qui deriva l’importanza di un percorso comune fra la pianificazione urbanistica e quella dei servizi, basato sulla reciproca volontà di conoscenza delle logiche che presiedono alle due forme di pianificazione. È uno scenario all’interno del quale non vi può essere molta differenza tra attrezzature pubbliche e private, tanto a livello di proprietà quanto di gestione. Altri devono essere i principi guida: le attrezzature sono parte insostituibile delle dotazioni di uno specifico contesto urbano, contribuiscono a migliorare la qualità della vita e ad aumentare l’attrattività e la competitività del territorio.

Bibliografia

Acocella A., L’Edilizia residenziale pubblica in Italia dal 1945 ad oggi, CEDAM, Padova 1980; Centro Studi GESCAL, Primo contributo alla ricerca sugli standards urbanistici, Roma, 1964; Curti F. (a cura), Lo scambio leale, Officina, Roma 2006; Falco L., I nuovi standard urbanistici, Edizioni delle autonomie, Roma 1987; Karrer F. Ricci M. (a cura), Città e contratto, Officina, Roma 2006; Karrer F. Ricci M. (a cura), Città e nuovo welfare, Officina, Roma 2003; Roda R., Segnalini O., Riqualificare le città e il territorio. Contenuti, risultati raggiunti e potenzialità dei programmi complessi, Il Sole 24 Ore, Milano 2001.

 

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