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Biocompatibilità 

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Definizione-Etimologia

Il termine è composto dal prefisso bio- (dal greco βíοσ, vita) e dalla parola compatibilità, derivante dal latino cum patior (letteralmente “partecipare a”) traducibile con l’espressione “essere in sintonia con”; l’etimo sottolinea, in maniera evidente, il carattere che assume tutto ciò che può definirsi biocompatibile.

Il concetto di biocompatibilità compare per la prima volta in maniera organica nella letteratura medica, in cui definisce la particolare proprietà di sostanze, organi o materiali di essere ben tollerati da un organismo vivente, comprendendo anche l’idea dell’accettazione di un impianto artificiale da parte dei tessuti circostanti e da parte del corpo come un tutt’uno.

Significato in architettura

Successivamente il termine biocompatibilità è diventato di uso comune anche nel linguaggio architettonico, quasi sempre accompagnato al concetto di architettura ecosostenibile. Il parallelo con la medicina permette di definire la biocompatibilità in architettura come la caratteristica di quei materiali, prodotti o edifici che consente un loro equilibrato inserimento nel contesto naturale, evitando non solo qualunque forma di “rigetto”, ma anche qualsiasi effetto nocivo sulla vita, e in particolare sulla salute degli uomini in ogni fase del loro ciclo di vita.

Si possono definire dunque materiali biocompatibili quelli che non provocano irritazioni e infiammazioni, non stimolano l’insorgere di reazioni allergiche e non causano nessun’altra forma di patologia. Un edificio biocompatibile assolve al compito di accogliere il fruitore e di proteggerlo da ogni eventuale danno generato dai processi ambientali esterni, mentre rispetta all’interno i desideri, la salute e il benessere dell’utente stesso.

Bibliografia

Allen G., Moro M., Burro L. (a cura), Repertorio di materiali per la bioedilizia, Rimini, 2001; Omodeo Salè S., Verdeaureo dell’Architettura, Rimini, 2001.

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