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Cimitero

Voghera, quinto ampliamento del Cimitero Maggiore, A. Monestiroli con T. Monestiroli, 1995-2003. Veduta della corte interna.
Voghera, quinto ampliamento del Cimitero Maggiore, A. Monestiroli con T. Monestiroli, 1995-2003. Veduta della corte interna.

Definizione-Etimologia

Dal greco koimetérion, dormitorio, latinizzato in coemeterium, in italiano C. è parola relativamente antica, introdotta nel linguaggio comune solo nel XIV secolo. Nel latino ecclesiastico spesso è definito come asylus circum ecclesiam, rifugio, asilo per i vivi e per i morti. È il luogo destinato a ospitare i defunti, in terra (inumazione) e in loculi (tumulazione) o ad accogliere le urne cinerarie e a consentire la dispersione delle ceneri in appositi giardini.

Processo formativo

È parte integrante dello scenario urbano da quando Costantino, venendo meno alla decima legge delle XII Tavole (450-451 a.C.) – Hominem mortuum in Urbe ne sepelito neque urito – autorizzò la sepoltura dei re cristiani all’interno delle chiese e scelse per la propria (337 d.C.) il sagrato della basilica di Costantinopoli, dando così inizio a un processo di inurbamento dei cadaveri, favorito dal diffondersi della fede nel dogma della resurrezione associata al culto dei martiri e delle loro tombe. La morte, vista come sonno eterno, non incuteva più paura; i defunti, chiamati “dormienti”, venivano sepolti nel coemeterium (dormitorio), solitamente collocato apud ecclesiam, all’interno o nell’intorno delle chiese, in quello spazio circostante l’edificio che costituiva i “passus ecclesiastici in circuitu ecclesiae”, i cosiddetti dextros.
Tuttavia, nel Medioevo, il C. non era soltanto un sepolcreto. La stessa parola designava anche un luogo in cui si era smesso di seppellire, o dove non si era mai seppellito alcuno, ma che assolveva comunque a una funzione importante per la vita cittadina: era un foro, una piazza, dove i vivi si incontravano per i loro interessi spirituali e temporali, per svolgere giochi, commerci, scambi, nobili e meno nobili affari; era anche il posto in cui si stipulavano atti giuridici e in cui si leggevano pubblicamente le sentenze; e dove avvenivano particolari reclusioni: persone votate alla vita eremitica, ma anche criminali che la giustizia aveva condannato a essere murati per sempre.
Per molti secoli la vita e la morte si divisero i medesimi spazi, sino a quando, nelle prime decadi del XVIII secolo, l’invasiva presenza dei sepolcreti urbani apparve come una seria minaccia per la salute pubblica. Inchieste e rapporti medici costituirono la premessa per la costruzione dei primi C. collettivi capaci di garantire, attraverso una puntuale conoscenza del ciclo evolutivo del corpo umano, igiene e sanità per la comunità dei viventi. In questo senso si collocano, ad esempio, i C. di Ferdinando Fuga realizzati a Roma (C. dell’Ospedale di Santo Spirito in Sassia, 1740; demolito) e a Napoli (C. delle Trecentosessatasei fosse, 1762), o quello di Francesco Valeriano Dellala di Beinasco per Torino (C. di San Pietro in Vincoli, 1777), recinti geometricamente scompartiti, caratterizzati da una successione di camere voltate, ermeticamente serrate da chiusini in pietra, nelle quali venivano calati i corpi, spesso avvolti solo in semplici sudari.
A questi primi atti fecero seguito ancora decenni di indagini e progetti, che portarono, non senza tenaci opposizioni del clero così come del popolo, all’editto firmato da Napoleone a Saint-Cloud il 12 giugno 1804 (esteso ai territori italiani il 5 settembre 1806), con il quale si stabiliva il definitivo allontanamento dei sepolcreti dalla città, fissando i criteri per la creazione dei moderni impianti cimiteriali extra moenia.
Poco dopo, Alexandre-Théodore Brongniart iniziava il progetto per il C. parigino del Père-Lachaise, ricorrendo al tema della sepoltura in seno alla natura quale simbolico gesto di laica riconciliazione dell’uomo con la morte. Sullo stesso esempio di C. parco si realizzeranno anche gli impianti di Vienna, Amburgo, Barcellona e, nel XX secolo, il C. sud di Stoccolma. A esso si contrappone il C. edificio, nel quale il manufatto architettonico prevale nettamente sull’elemento naturale. Secondo questo modello, chiaramente desunto dal Camposanto di Pisa, verranno conformati la maggior parte dei C. italiani ottocenteschi – si vedano, tra gli altri, il Vantiniano a Brescia (1815), il C. di Staglieno a Genova (1835), il Verano a Roma (1855), il Monumentale a Milano (1863).

Formazione del cimitero contemporaneo

Espulsi i luoghi di sepoltura dalla città, i progettisti dei primi impianti cimiteriali collettivi inizialmente tesero a trasferire nei campi aperti una generica idea di semplicità e sicurezza, spesso priva di specifica traduzione architettonica: per costituire un nuovo C. sembrava essere necessario, a volte sufficiente, un recinto, per lo più quadrato o rettangolare, una croce e una cappella sepolcrale. In breve però si iniziò a far ricorso a immagini ritenute più consone a interpretare la solennità del tema e alle geometrie semplici si sostituirono composizioni più articolate.
Fin dai primi progetti apparve tuttavia evidente come il programma architettonico di questa struttura, i cui termini si possono alternativamente e senza forzature trasferire dalla città ai C. in un continuo scambio di rimandi e citazioni, fosse prevalentemente affidato alla risoluzione del recinto cimiteriale (reinverato limes della società moderna, perimetro invalicabile e simbolico, inizialmente un semplice muro trasformato poi, sul tipo delle strutture conventuali, in struttura più complessa caratterizzata da una sequenza di portici e cappelle); degli accessi (le porte attraverso cui celebrare i riti di passaggio); dei percorsi esterni (i viali di collegamento con la città) e interni (direzionalità principali e secondarie); del centro della figura geometrica (punto privilegiato, mundus protetto dal timore sacro, occupato da una statua, dalla croce o anche da un faro, come nel caso del C. di Brescia, motivo desunto dall’architettura cimiteriale francese); degli edifici principali (la cappella sepolcrale, le sepolture particolari, gli annessi cimiteriali) posti, a seconda del ruolo simbolico e funzionale, in posizione nodale (cioè all’intersezione dei percorsi) o polare (cioè alla terminazione dei percorsi o alla intersezione dei percorsi fondamentali dell’impianto); e quindi della distribuzione planimetrica del suolo attraverso una maglia geometrica, per lo più ortogonale, matrice organizzativa e regolatrice dell’intero impianto.
Nel primo Novecento italiano, terminata la Grande Guerra, l’interesse generale si sposta sui problemi legati alla ricostruzione e l’architettura funeraria assume essenzialmente il carattere evocativo dei sacrari militari e dei memoriali, eretti sui luoghi di sanguinose battaglie – Monte Grappa (1935), Montello (1935), Redipuglia (1938), ad esempio – o di feroci massacri – Memoriale delle Fosse Ardeatine, Roma (1944-1949). Per alcuni decenni non si bandiranno più concorsi né verranno edificati C. di particolare rilevanza. La cultura architettonica italiana dimostra difficoltà a tornare a occuparsi della definizione dei luoghi di sepoltura: per la ricostruzione delle città appena uscite dai conflitti occorrono soprattutto abitazioni, interi quartieri, e poi scuole, fabbriche e uffici. Gli ampliamenti dei recinti cimiteriali, dove necessari, vengono affidati per lo più all’opera dei tecnici delle amministrazioni comunali, ricercando spesso nell’applicazione pedissequa degli articoli della vigente normativa (nel 1934 viene approvato il Testo Unico delle Leggi Sanitarie) risposte ritenute incontrovertibilmente soddisfacenti. Alcuni di questi progetti, i più raffinati, sono informati alla contemporanea architettura nordeuropea, mostrata nelle mirabili raccolte di C., crematori e monumenti funerari redatte da Roberto Aloi.
Solo a partire dagli anni Settanta, in ragione della sensibile crescita delle città e di un rinnovato interesse verso le architetture collettive, e quindi anche verso i C., vengono indetti numerosi concorsi – tra i quali si ricorda quello largamente celebrato per l’ampliamento del C. di Modena (1971-1982) – o affidati incarichi a professionisti esterni alle strutture comunali, inaugurando una sorta di pratica ancora ampiamente diffusa.
Concorsi nazionali e internazionali, nuove costruzioni o ampliamenti di grandi e piccoli C., da allora si susseguono costantemente, caratterizzando gli ultimi vent’anni di produzione architettonica con complessi altamente espressivi e rappresentativi.
Pur nell’estrema varietà delle proposte, e nelle evidenti contaminazioni tra i modelli, la ricerca sembra ormai stabilizzata sulle due rotte precedentemente fissate. Il modello che si diffonde maggiormente è quello del C. edificio desunto dalla tradizione latina dei C. monumentali ottocenteschi: si vedano gli esempi di Parabita (1967-1982), di Terni (1986-2005), di Arezzo (1992-2004), di Voghera (1995-2000), sino ai più recenti impianti di Piratello, Imola (1997-2001) o di Silvi (2009). Più rare le soluzioni che prevedono invece il ricorso a immagini naturalistiche proprie del C. parco, e tra queste il C. di Longarone (1966-1972), quello di Villa Coviolo a Reggio Emilia (1980-1985) o il progetto mai realizzato per Urbino (1974) a cui per alcuni aspetti si ispirano i C. di Ciampino (1981-98), di Baschi (1994-1997) e di Villanova, Pordenone (1997-1999).
Nelle ultime decadi del XX secolo si è inoltre riscontrata anche in Italia una sensibile diffusione della cremazione, sebbene ancora per lo più concentrata nelle regioni settentrionali, con la conseguente edificazione di impianti – si veda, ad esempio, il crematorio di Brescia (2002-2004) o quello di Parma (2009) – dotati non solo di forni ma anche di sale per il commiato, nicchie cinerarie per la deposizione delle urne e giardini della memoria nei quali effettuare la dispersione delle ceneri.

La progettazione

Nei suoi termini più specificamente tecnici la progettazione cimiteriale attualmente è disciplinata dal Regio Decreto 1265/1934 (Testo Unico delle Leggi Sanitarie), dal d.p.r. 285/1990 (Regolamento di Polizia Mortuaria) e dalla circolare esplicativa del Ministero della Sanità n. 24 del 24.06.1993 (restando comunque intesi i rimandi alle disposizioni sulle strutture in cemento armato, a quelle sulle costruzioni in zona sismica, nonché alla normativa sull’eliminazione delle barriere architettoniche, sulla prevenzione degli infortuni e sulla sicurezza sul lavoro).
Tali norme stabiliscono le parti dell’impianto cimiteriale e definiscono le dimensioni minime e le caratteristiche costruttive dei singoli elementi, a seconda delle tecniche e dei procedimenti edilizi adottati (con lavorazioni interamente in opera o mediante l’utilizzo di componenti prefabbricati). Sono parti del progetto: le strutture di ingresso (portineria e custodia; locali per squadre di necrofori, giardinieri, operai; magazzini attrezzi; rimesse e officine per mezzi meccanici), il recinto, le percorrenze interne (principali e secondarie), i campi per inumazioni comuni (anche per diverse religioni), i colombari per loculi e quelli per ossarietti, l’ossario comune, le sepolture private (campi di inumazione, cappelle ed edicole funerarie soggette a concessione), la camera mortuaria, la sala per autopsie, i depositi di osservazione e obitori, il crematorio, oltre agli uffici amministrativi e ai magazzini di deposito temporaneo di rifiuti.
La normativa stabilisce anche le dimensioni delle zone di rispetto tra i cimiteri e i centri abitati (almeno 200 metri; art. 57 d.p.r. 285/1990) da lasciare inedificate (ma utilizzabili per ospitare parcheggi e aree verdi o strutture di servizio a uso cimiteriale).
Sulla scelta dell’ubicazione di una nuova struttura cimiteriale influiscono molteplici fattori e valutazioni igienico-funzionali, quali ad esempio la qualità del terreno o l’analisi dei venti dominanti, il decentramento ma anche la facilità di comunicazione con la rete viaria urbana.

Bibliografia

Aloi R., Architettura funeraria oggi, Milano, 1959; Ariès P., L’Homme devant la mort, Paris, 1977 (Trad. it. L’uomo e la morte dal Medioevo ad oggi, Bari, 1980); Bertolaccini L., Città e cimiteri. Dall’eredità medievale alla codificazione ottocentesca, Roma, 2003; Curl J.S., A celebration of death. An introduction to some of the buildings, monuments and settings of funerary architecture in the Western European tradition, London, 1980; Etlin R.A., The architecture of death. The transformation of the cemetery in eighteenth-century in Paris, Cambridge, 1984; Latini L., Cimiteri e giardini. Città e paesaggi funerari d’occidente, Firenze, 1994; Giuffrè M., Mangone F., Pace S., Selvafolta O. (a cura di), L’architettura della memoria in Italia. Cimiteri, monumenti e città. 1750-1939, Milano, 2007; Ragon M., L’espace de la mort, Paris, 1981 (Trad. it. Lo spazio della morte, Napoli, 1986); Strappa G. (a cura di), Ediliza per il culto. Chiese-Moschee-Sinagoghe-Strutture cimiteriali, Torino, 2005.

 

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