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Composizione

Concorso per il Municipio, L’Aia, Rem Koolhaas, 1986. Schizzo prospettico.
Concorso per il Municipio, L’Aia, Rem Koolhaas, 1986. Schizzo prospettico.

Definizione – Etimologia

Dal latino compositio, derivato a sua volta dal verbo componere, porre insieme, unire. L’atto del comporre, indica il modo di disporre unità formali o parti di un loro insieme o il risultato di detta unione. In ambito architettonico, presuppone un’azione logica e meditata da parte del progettista rispondente alle richieste della committenza e che si esplicita in un programma contraddistinto da ragioni prevalentemente funzionali-costruttive e/o estetico-formali.

Generalità

La complessa azione ideativa e realizzativa della Composizione è indirettamente rivolta anche alla collettività, in quanto comporta la trasformazione dell´assetto spaziale del luogo dove prenderà forma l´intervento. Da ciò emerge l´importanza del diretto coinvolgimento del progettista in quanto autore di un programma rivolto a un determinato ambito territoriale che contribuisce, in termini teorico-formali e/o programmatico-normativi e/o economico-sociali, al processo di modificazione. La Composizione architettonica abbraccia, altresì, un arco di interventi di diverso genere e dimensione che va dall´oggetto d´uso al territorio, messi in atto con specifiche modalità immaginative e costruttive, rispondenti a bisogni individuali e collettivi.

Sviluppo del termine

La prima, importante elaborazione dell’idea di Composizione è contenuta nel trattato di Vitruvio Pollione, De architectura (circa 25 a.C.). Si tratta del tentativo di formulare una teoria dell’architettura al fine di organizzare la messa in opera di progetti di strutture architettoniche a diverse scale: dagli acquedotti, agli edifici, ai bagni, ai porti e dalle macchine, agli strumenti di misurazione, agli utensili.È l’unico testo sull’architettura pervenuto integro dall’antichità all’epoca presente. Esso diverrà il fondamento teorico dell’architettura occidentale, dal Rinascimento fino alla fine del XIX secolo. In esso non compare esplicitamente il termine Composizione. Tale concetto trova una sua articolazione attraverso sei diverse espressioni: ordinatio, dispositio, eurythmia, decor, distributio e symmetria. In particolare, symmetria rappresenta “il collegamento armonico dei singoli membri dell’edificio” e consiste nella corrispondenza proporzionale fra una parte e il tutto di un’opera, misurata a moduli o frazioni di modulo. Tale definizione è quella che maggiormente si avvicina al concetto di Composizione elaborato in epoca moderna distinguendolo da quello di progetto. 
Il termine Composizione si trova, invece, esplicitamente impiegato da Leon Battista Alberti in De Pictura e significa la ragione per la quale (in pittura) “le parti delle cose vedute si porgono insieme”. La parola equivalente nel trattato De re aedificatoria (scritto vent’anni dopo) è concinnitas, ovvero stretta interrelazione tra le parti. L’affinità di Composizione e concinnitas sta nel loro comune riferimento alla maniera in cui reciprocamente si accordano gli elementi che compongono uno stesso oggetto o uno stesso organismo. 
Nel corso dei secoli successivi, faranno seguito numerosi trattati di architettura: da Les dix livres d’architecture de Vitruve di Claude Perrault (1684), al Livre d’Architecture di Germain Boffrand (1745), dall’Essai sur l’Architecture di Marc Antoine Laugier (1753), al Cours d’Architecture di Jacques-François Blondel (1771). Si tratta di una serie di testi rivolti alla riflessione sui principi, sul senso e sull’insegnamento dell’architettura, aventi come obiettivo primario l’individuazione di una teoria unitaria della Composizione. Intendere l’edificio come risultato di una Composizione costituisce il fondamento di una sua concezione analitica: attraverso tale visione, progettare vuol dire, per prima cosa, scomporre l’immagine unitaria prefigurata, per individuarne gli elementi costitutivi e, poi, per invertire tale processo e ricostruire con gli stessi elementi, dotati ormai di proprie potenzialità espressive, un sistema di relazioni misurabili e determinate che portano alla piena, totale comprensione della costruzione. 
A metà del XVIII secolo la formula del trattato entrerà in crisi e il Parere sull’architettura di Piranesi (1765), in qualche misura, ne rappresenterà un’espressione emblematica. Il testo si presenta come un’interrogazione teorica intorno al rinnovamento dell’architettura. L’Autore intende sperimentare i limiti del trattato come norma e strumento didattico, dimostrandone l’inadeguatezza di fronte all’immaginazione artistica. 
All’inizio del XIX secolo viene pubblicato in Francia un testo decisivo per il nuovo modo di fissare in senso didattico i principi e le teorie della Composizione. Si tratta del compendio delle lezioni di architettura di Jean-Nicolas-Louis Durand, Précis des leçons d’architecture données à l’École royale polytechnique (1802). Allievo di Etienne-Louis Boullée, Durand affronta e codifica i nuovi tipi edilizi di interesse pubblico (la scuola, l’ospedale, la banca, il macello) che, prima la Rivoluzione e poi Napoleone, avevano posto a fondamento del rinnovamento della città. Il testo segna l’inizio di un modo di intendere la Composizione come strumento interpretativo dell’architettura. Attraverso di essa sarà, dunque, possibile mettere a fuoco le leggi scientifiche atte a comprendere e rendere esplicito il rapporto tradizionale fra le forme e la percezione estetica dell’uomo. Nell’ambito della tradizione accademica, ormai inseparabile dal progetto illuminista, tale aspetto più programmatico della progettazione risulterà facilitato nella sua applicazione da una concezione astratta e simbolica della Composizione “La composizione‒ afferma Quatremère de Quincy, nel suo Dictionnaire historique d’architecture (1832) ‒ è la traccia incompleta di ciò che verrà a costituire l’insieme” (“l’esquisse non encore terminée d’une composition de l’ensamble”). Questo bisogno di controllo del processo progettuale attraverso il filtro della ragione è, dunque, il tema sviluppato dalla cultura figurativa illuminista attraverso l’insegnamento accademico e la produzione di manuali e saggi teorici, seppure con esiti variamente orientati: ora verso un indirizzo civile post-rivoluzionario, ora verso un neopalladianesimo antibarocco. Il linguaggio neoclassico, bisogna aggiungere, sarà fatto proprio anche dalla nuova figura dell’ingegnere civile che impiegherà, sperimentandoli, i nuovi materiali prodotti dall’industria (ghisa, ferro, acciaio), cercando, nel contempo, di individuare un’improbabile linea di congiunzione tra passato e futuro perseguendo, da un lato, il ritorno all’antico e, dall’altro, l’avanzare della scienza e della tecnica.
Lungo il tracciato di tale percorso storico, la nozione di Composizione, come sostiene Julius von Schlosser, in Die Kunstliteratur (1924), presiede alla successione di diversi tentativi di formulare una teoria dell’architettura capace di rifondarla come arte, ponendo in secondo piano, nel momento in cui risulterà eccessivamente legata a una visione meccanica del mestiere, l’esecuzione stessa dell’opera. Il privilegiare l’invenzione e l’espressione come le parti più nobili dell’arte dell’architetto contribuirà a dare importanza al concetto stesso di Composizione nella doppia accezione di operazione concettuale e di rappresentazione formale. Questa idea di Composizione di ascendenza Beaux-Arts sarà sostanzialmente ereditata dalle avanguardie del XX secolo (Cubismo, Futurismo, Dadaismo, Espressionismo, Astrattismo ecc.) pur ponendo le condizioni di una figurazione radicalmente nuova e derivando la propria autorità dall’assenza di ogni regola stilistica. 
Come osserva A. Colquhoun in Conflitti ideologici del moderno, numerosi testi illustrano le modalità e le forme in cui avverrà tale passaggio durante i primi decenni del secolo breve. Uno di questi autori, H. Robertson, in The Principles of Architectural Composition (1924), sottolinea il fatto che i valori dell’architettura sono permanenti e che nella Composizione architettonica esistono regole fondamentali indipendenti dagli stili facendo riferimento a specifiche categorie compositive basate sulla logica dell’insegnamento Beaux-Arts. La maggior parte degli esempi presentati da Robertson nel suo libro fa riferimento a edifici tradizionali, ma sono evidenti le analogie con gli argomenti trattati da Le Corbusier in Vers une Architecture (1923). Occorre tuttavia osservare che Le Corbusier, in seguito, si sforzerà di trovare anche un punto di mediazione tra la forza dirompente del plan libre, il quale opera nello spazio dell’avanguardia, e i paradigmi accademici dell’Illuminismo, attuando, in questo modo, una forma di riconciliazione tra sperimentalismo progettuale e ordine compositivo. La pianta libera, infatti, non esige più un ordine generale, anche se, come l’architetto scrive a proposito del progetto del Palazzo dei Soviet (1931), “le varie fasi del progetto, nel quale gli organi che sono già stabiliti indipendentemente l’uno dall’altro, vanno assumendo, poco a poco, le posizioni reciproche per giungere ad una soluzione di sintesi”. La fine dell’avanguardia, dopo l’inizio degli anni Trenta, nota K. Frampton, in Antropologia della costruzione, “si riflette nella rinuncia di Le Corbusier al plan libre, proprio quando il progetto liberativo dell’Illuminismo incomincia a crollare sulla roccia della propria funzionalità”.

Accezione contemporanea del termine

L’idea di una centralità del pensiero teorico di architettura permarrà nella cultura progettuale fino agli anni Sessanta del XX secolo, anche se venata dalla presenza di posizioni problematiche, registrando poi con la ventata storicista del decennio successivo una sorta di intensificazione riflessiva. In questi anni L. Kahn sperimenta diversi, possibili modi di comporre ‒ osserva Frampton in Louis I. Kahn and the French Connection ‒ basati sull’assemblaggio degli elementi architettonici, affinché l’edificio (“the society of the rooms”) riesca a individuare la sua adeguata identità formale (“what it wants to be”). A. Rossi, nell’Introduzione al Saggio sull’arte di E.L. Boullée (1967), sostiene che l’opera teorica-progettuale dell’architetto francese è un richiamo alla necessità di sostenere l’architettura attraverso un’impalcatura coerente in sé stessa e razionale. I suoi progetti rappresentano la continua verifica dei principi compositivi del sistema logico da lui costruito, “la razionalità del progetto consiste nell’aderire a questo sistema”.
In tempi più recenti, la nozione di Composizione sembra non riuscire più a individuare una sua chiara e stabile collocazione. Vittorio Gregotti in Costruire l’architettura, afferma che risulta oggi difficile ricostruire “un linguaggio compositivo con una propria sintassi e proprie regole grammaticali […], in assenza degli elementi […] enunciabili in modo finito, identificabili in maniera certa e soprattutto dotati di stabilità di senso tale da permettere l’accumulazioni di memorie, di regole e di strutture”.
Molti nuovi fattori hanno contribuito a rendere complesso il processo ideativo della forma architettonica per cui, nelle condizioni attuali, il valore e il significato stesso del termine Composizione appaiono soggetti a un’azione di lenta erosione. Quello che oggi contraddistingue tale termine ‒ come nota Franco Purini in Comporre l’architettura ‒ è il suo “fondamento oscillante e mutevole”, dovuto alla perdita del tradizionale ruolo di punto di riferimento di un universo sintetico-concettuale. 
La storica contrapposizione tra progetto e Composizione appare ora meno significativa, e i due termini tendono reciprocamente a confondersi. Tuttavia, rimangono ancora ampi spazi di sperimentazione e riflessione teorica rivolti, essenzialmente, a due distinti campi, ciascuno attraversato da infiniti percorsi individuali. 
Il primo tende a operare all’interno di un processo ideativo di tipo aperto, tendenzialmente inclusivista. Tra le ricerche più interessanti in questo senso è da segnalare quella di Rem Koolhaas, la cui imprevedibilità nell’ambito della progettazione conduce a una sorta di “estetica aperta” che tende a scavalcare i confini stessi della Composizione Koolhaas introduce il concetto di edificio “mutante”: non-progettato, ma generato, secondo una concezione che riproporrà in numerose proposte, tradotta nell’idea di montaggio, in cui il tema della rottura prevale su quello della continuità. Lo sviluppo di tale idea condurrà, attraverso varie tappe, all’idea di dissimmetria che, lontana dalla ricerca architettonica sull’equilibrio delle forme perseguita fino alla fine del XX secolo, rappresenta un déséquilibre délibérée ‒ come nota Jacques Lucan in Composition, non composition ‒ inteso come momento di vitalità innovatrice, rischio, avventura. 
Il secondo aspetto è quello che opera all’interno di un processo di elaborazione concettuale di tipo chiuso, sostanzialmente esclusivista, basato sulla presenza di una figura architettonica che riassume all’interno della sua unicità la sintesi formale della complessità del processo progettuale. Tale indirizzo, rispetto alla logica compositiva fondata sulla dialettica delle parti, si basa, al contrario, sulla definizione di elementi chiusi (si veda la serie dei monoliti monocromatici di Herzog & de Meuron) con l’obiettivo di ottenere un effetto destabilizzante, attraverso il ricorso a figure a priori che indicano la volontà di lavorare al di fuori di tentazioni figurative. Gli oggetti architettonici nascono da un percorso realizzativo di tipo “automatico”, tesi a richiamare sia figure primigenie, sia un processo estrusivo di tipo industriale, senza, tuttavia, mancare di affermarne uniformità e indipendenza, come avviene nei monocromi di Yves Klein, per cui, come asserisce D. Riout “ogni punto della superficie equivale agli altri, anche se gode di una propria identità”.

Bibliografia

Caniggia G., Maffei G.L., Composizione architettonica e tipologia edilizia, Firenze, 1979; Gregotti V., Costruire l’architettura, in «Casabella», 520-521, 1986; Lucan J., Composition, non-composition. Architecture et théories. XIXe – XXe siècles, Lausanne, 2009; Purini F., Comporre l’architettura, Roma-Bari, 2001.

 

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