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Edilizia estensiva

Welwyn (Gran Bretagna), garden city, planimetria.
Welwyn (Gran Bretagna), garden city, planimetria.

Definizione

Costruzione di fabbricati con ridotta cubatura su estensioni ampie di suolo. Gli edifici, separati da larghi spazi vuoti, di solito verdi, occupano aree di dimensioni contenute rispetto alla superficie totale del lotto fabbricabile. Nelle tecniche edilizia e urbanistica per misurare la consistenza del costruito e i requisiti della categoria nelle lottizzazioni in uso nei PRG. I tipi residenziali utilizzati sono propri delle zone a bassa densità edilizia, per lo più casette isolate, a schiera, villini e villette. L’espressione edilizia estensiva può essere anche associata alla crescita orizzontale, spontanea e a più alta densità, costituita da manufatti autocostruiti (spesso con componenti e materiali di scarto) tipica delle periferie dei grandi agglomerati urbani di paesi del Terzo Mondo o in via di sviluppo, tendenza in forte espansione, riguardante più di un terzo della popolazione mondiale inurbata che vive in baraccopoli di vario genere (slum, bidonville, township, caniço, favela, kampung ecc.).

Derivazione – Processo formativo

Dalla fine del ’700, con la progressiva affermazione delle democrazie, borghi e comunità costituiti da case isolate si diffondono attorno alle città in Europa e negli Stati Uniti. A seguito dei processi di forte urbanesimo dovuti alla rivoluzione industriale, sorgono presso i distretti produttivi le company towns, insediamenti residenziali esterni ai nuclei urbani consolidati, pensati per alloggiare i lavoratori. Soria y Mata nel 1892 con la ciudad lineal immagina per l’ampliamento di Madrid una città estensiva modulare costituita da villini isolati con lotto minimo di 400 m2 di cui 80 occupati dalla casa. Parti residenziali della cité industrielle di T. Garnier (1904-17) prevedono lottizzazioni a villini con superficie del costruito inferiore alla metà dell’area fabbricabile. Le garden cities teorizzate da E. Howard, muovendo da una critica verso la congestione della città tradizionale, ricercano la sintesi virtuosa dell’antinomia città-campagna e si concretano con la costruzione dei distretti urbani di Letchworth (1904) e Welwyn (1919) e di garden suburbs come Bournville, Port Sunlight e Hampstead. Queste esperienze alimentano un acceso dibattito sulla validità del modello estensivo della città giardino, spendibile sia come nuova e seducente soluzione abitativa per ceti medi, con case più ricercate dell’alloggio condominiale come ville, villini e villette, sia come alternativa tipologica disurbanizzante nel campo dell’edilizia sociale, con i tipi delle casette economiche accessoriate da orti per l’autosussistenza.

Fra pittoresco edilizio, studiate irregolarità legate all’orografia, il tema dei borghi “a misura d’uomo”, mutuato dalle garden cities, è sperimentato a Roma nel nucleo originario del quartiere di Garbatella (1920) e con la Città Giardino a Monte Sacro (1920-24).

Inutile consumo di suolo, costo delle reti d’impianto, monotonia urbanistica, uniformità paesistica, mancanza di relazione fra gli elementi e conseguente disorientamento, strade curve e vicoli ciechi, banalizzazione del concetto di natura, segregazione rurale, impressione di solitudine, sono le critiche principali mosse contro le città giardino, definite “illusorie soluzioni ai problemi urbani” nella Carta d’Atene. La loro diseconomia per la dipendenza dall’automobilismo di massa era già stata messa in luce da W. Gropius rilevando che i lunghi percorsi ai luoghi di lavoro comportano per gli abitanti un pesante onere economico.

È quanto accadrà macroscopicamente negli Stati Uniti con il continuo sviluppo di Los Angeles, la regione metropolitana di Washington DC, i suburbi di Atlanta in Georgia, costituiti da interminabili estensioni di case unifamiliari.

Nel 1932 F.L. Wright aveva già anticipato con The Desappearing City il nuovo modello di città estensiva americana illustrato due anni dopo con il progetto di Broadacre City. Nella città di Wright, innervata da un’efficiente rete viaria a servizio del trasporto individuale, entrano in tensione la verticalità delle torri-segnali con l’orizzontalità dilatata delle trame occupate da case unifamiliari. La densità è molto bassa, circa 5-7 abitanti per ettaro; ogni cittadino dispone di un acro (ca. 4.000 m2) per la sua casa dotata di parcheggio e giardino.

Ma con il fallimento del Movimento Moderno, dagli anni ’50 i modelli della garden city e di Broadacre poco avranno in comune con la rapida e incontrollata occupazione estensiva del territorio nei paesi a economia avanzata, crescita che presto assumerà caratteri dispersivi di suburbanizzazione consumando quantità di suoli non commisurate ai relativi incrementi demografici. La dilatazione del costruito a bassa densità prodotta dall’edilizia estensiva è fra le cause principali della conurbazione, l’unione fra aree periferiche di diversi centri abitati, proprie delle “città regioni” e delle “aree metropolitane, con ampia presenza del cosiddetto sprawl (insieme disordinato di prodotti edilizi). Trascurando il rapporto con i luoghi, punto di forza dei modelli insediativi tradizionali, il fenomeno “città diffusa” ha investito anche l’Italia trasformando il paesaggio agrario e costiero, dapprima con valenze estensive, quindi con densificazione di lotti già edificati ed estese conurbazioni lineari a seguito delle trasformazioni degli assetti produttivi, sociali e del consumo. A differenza della città compatta, lettura e classificazione delle morfologie urbane a proliferazione discontinua e instabile nel tempo, proprie della dispersione urbana, basate su logiche incrementali, difformità interna e incompletezza delle componenti, impostate sul capovolgimento dei rapporti fra pieno e vuoto, caratterizzate da insensibilità al luogo, procedono più per metafore e invenzioni terminologiche (figure eterodosse come trame, frammenti, filamenti, nebulose, frattali, texture) associate a forme di razionalità minimale, che per tipi edilizi consolidati, generando categorie di analisi eterogenee e complesse, per alcuni considerate precetti per un’estetica del disordine.

Bibliografia

Boeri S., Lanzani A., Marini E., Il territorio che cambia, Milano 1993; Frampton K., Storia dell’architettura moderna, Bologna, 1982; Duany A., Plater-Zyberk E., Suburban Nation. The rise of sprawl and the decline of the American Dream, New York 2000; Koolhaas R., Junkspace, Guida Scolastica di Harvard per lo Shopping, Harvard 2003.

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