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Ibridazione

Rotterdam, Market Hall, prospettiva del mercato coperto con abitazioni, MVRDV, 2009-2014 (disegni forniti dallo studio).
Rotterdam, Market Hall, prospettiva del mercato coperto con abitazioni, MVRDV, 2009-2014 (disegni forniti dallo studio).

Definizione-Etimologia

Il concetto di Hýbris (dal greco antico βρις), di origine giuridica, per quanto estesosi progressivamente all’uso poetico e letterario, denota una condizione di “tracotanza”, “dismisura” e di “eccesso”. Nella società arcaica esprime l’aspirazione manifesta all’inclusione reciproca tra qualità umane e divine, da cui consegue la “colpa”, sentenziata dall’inconciliabilità dei relativi sistemi di valore, e l’implicita connotazione negativa attribuita al termine.

Significato del termine: origini e suoi sviluppi

Il Mito, come racconto delle origini, e la Genesi, quale principio di radicamento del divino nel terreno attraverso la sua storicizzazione, sono compiute espressioni dell’accezione “colpevole” del termine. Tale condizione è rappresentata nell’Odissea dall’ambizione degli uomini a condividere la conoscenza degli Dei, ascoltando il canto delle sirene, che si conclude con il naufragio, mentre nel racconto Biblico essa si identifica con la decisione dei progenitori della razza umana di cogliere il frutto proibito, metafora dell’albero della conoscenza, che comporta la cacciata dal Paradiso. Per estensione semantica, la secolarizzazione d’uso del termine occorsa in epoca medievale e rinascimentale, chiama in causa la relazione antropologica con “altro da sé”, rinviando implicitamente al superamento di un limite, fisico e psicologico, oltre il quale alberga l’ignoto e il diverso. Essa connota pertanto la “crisi” di un sistema di valori imputabile al travalicamento del mondo conosciuto, e la conseguente perdita temporanea di quell’equilibrio assunto convenzionalmente a fondamento del vivere civile, per regolare i rapporti tra individui all’interno di una compagine sociale omogenea.
In tal senso l’ibrido si identifica con il mostruoso (dal latino monstrare; additare, ma anche ammaestrare), inteso come ciò che in quanto diverso, ci sta di fronte, ovvero al di fuori, in attesa di essere assimilato a noi o, più semplicemente, ridotto a oggetto di pura indagine scientifica. In tal senso, nel campo delle istituzioni civiche del mondo occidentale, le Corporazioni di Arti e Mestieri, prima, e le Accademie, dopo, sono chiamate a svolgere un’analoga funzione normalizzatrice, per quanto fondata su differenti premesse politiche, evidentemente antagoniste. La modernità borghese, reificando ogni espressione di vita, sia essa naturale o culturale, al fine di farne dato di conoscenza, oggettiva e trasmissibile, sottoposto all’esattezza del calcolo logico-matematico, e di conseguente sfruttamento produttivo, accetta la conflittuale coesistenza tra nuovi e vecchi sistemi di valore. Attraverso l’assimilazione del Mestiere a Tecnica, ovvero della Fenomenologia a Ontologia, i comportamenti possono essere descritti, articolati e finalizzati sulla base di una chiara gerarchizzazione d’uso, capace di creare le condizioni per l’ibridazione funzionale Uomo-Natura attraverso lo Strumento-Macchina. La laicizzazione del termine e il suo riconoscimento come valore compiuto, avviene durante la fase Post-Moderna. La contaminazione dei linguaggi, allegoria efficace dell’irriducibile diversità delle sottostanti ideologie, costituisce la più compiuta manifestazione dell’ormai sopraggiunto riconoscimento che la diversità è in noi, ci appartiene e ci forza a interpretare il concetto di identità secondo categorie inedite.

Condizionamenti e rapporti con la forma urbana

Erroneamente ricondotta alla multifunzionalità in architettura, che semmai ne costituisce una prime derivazione, l’ibridazione è un processo essenzialmente urbano, che ne investe il cambiamento di ruolo delle parti componenti, e dei rapporti relativi, all’interno del loro significato complessivo, creando un corto circuito che ne rivela opportunità inedite. In tal senso ibrida, per definizione, è la natura stessa della trasformazione urbana, in quanto pratica “virale” che, destabilizzandone il codice genetico dall’interno, crea le condizioni affinché la città possa diventare “altro da sè”, seppur passando necessariamente attraverso un traumatico cambiamento di stato, mantenendone costante il potenziale espressivo. In quanto tale, l’ibrido esprime una condizione di sospensione, per definizione transitoria, tra un “non più”, ovvero una cultura urbanistica in crisi per effetto dei cambiamenti occorsi nelle sue istituzioni, e un “non ancora”, ovvero un assetto insediativo capace di esprimere una rinnovata coerenza e corrispondenza tra urbs e civitas, tra spazio e società.
Il concetto di ibridazione è pertanto connaturato ad ogni cambiamento di stato e al processo di trasformazione che lo determina. Ciò risulta particolarmente evidente nella storia della città, per effetto della diversa inerzia al cambiamento che si manifesta tra le parti e il tutto e in virtù della cronica distonia tra strutture spaziali, istituzioni sociali e fasi temporali, che programmaticamente contraddice ogni facile categorizzazione del costruito in generi e specie. Nella transizione tra la città romana e quella medievale, si assiste all’uso non convenzionale di edifici pubblici con finalità private, per lo più motivato da esigenze difensive. È questo il caso di alcuni anfiteatri, quali quello di Arles, di Lucca e di Roma – che accolgono residenze, generando nel tempo aggregati edilizi di nuova concezione, ovvero i primi tessuti a schiera, talvolta coesistendo con modelli afferenti alla cultura precedente – e di sontuosi palazzi, come quello di Diocleziano a Spalato, che raggiungono complessità di relazioni assimilabili a quella di una città. Similmente, la nascita dei primi borghi edilizi fuori le mura si identifica come espressione morfologica estranea all’insediamento intra-moenia (i suoi abitanti non godono infatti dei diritti riconosciuti ai cives inurbati), di cui costituiscono ab origine una forma di ibridazione temporanea, per esserne nel tempo compiutamente assimilati, fino a divenire strumento efficace di sviluppo e identità delle relative tessiture urbane. La stessa diffusione delle Certose altera i rapporti convenzionali tra insediamento urbano e territorio, in quanto edifici specialisitici che riproducono il livello di articolazione scalare presente, seppur al grado minimo, nelle città comunali, ospitando residenze, servizi, un ampio spettro di professionalità e luoghi di scambio con il contesto circostante.
Tra le prime architetture a scala urbana che sovvertono il rapporto convenzionale tra strutture originariamente complementari, mettendole in reciproca competizione, possono essere ricordati i Pii Alberghi dei Poveri, istituzioni espressione di un paternalismo illuminato che, offrendo ricovero, educazione e lavoro a bisognosi, orfani e reietti in generale, promuovono la costruzione di manufatti edilizi la cui complessità spaziale e funzionale assurge al rango urbano. Perfino le Regge, quali Caserta e Versailles, per quanto assimilabili a residenze private, che ripropongono la complessità e la ricchezza della più sontuose ville romane di epoca imperiale, se rapportate al contesto territoriale in cui operano, competono con le città coeve per alcune funzioni produttive e direzionali di eccellenza, alimentando nel medio periodo fenomeni disgregativi della compagine sociale. Nella transizione tra Ancient Regime e Stato borghese, l’ibridazione si manifesta prevalentemente attraverso la produzione di nuovi tipi edilizi a destinazione commerciale, quali i grandi magazzini che, per dimensione e varietà dell’offerta, costituiscono i primi casi di spazi pubblici ospitati all’interno di edifici privati, capaci di competere con i più tradizionali luoghi di incontro collettivo all’aperto della città, come strade, piazze e parchi.
Nella città del Movimento Moderno, l’“Unità di Abitazione a grandezza conforme” di Le Corbusier, diventa paradigma di una variazione di scala nella comprensione dell’organismo urbano, che porta alla Città Territorio e promuove, per gemmazioni successive, l’immaginario megastrutturale. Tale mutazione è possibile attraverso l’assimilazione dell’architettura a “Città in verticale”, includendo al suo interno le funzioni elementari dell’urbanistica, così come stabilite nella Carta d’Atene del 1942: abitare, lavorare, circolare e coltivarsi. In tal senso, lo sviluppo della città americana maturato tra la fine del XIX e l’inizio del XX secolo, soprattutto con riferimento alla crescita “scalare” di Chicago e New York, documentata negli studi di Rem Koolhaas e Jean Castex, risulta anticipatrice. In tempi più recenti, la globalizzazione economica ha promosso inediti processi di ibridazione, con risultati eclatanti raggiunti soprattutto nei paesi in via di sviluppo, privilegiando la trasformazione di quelle aree contraddistinte da un più elevato potenziale di accessibilità intermodale e suscettibilità al cambiamento di stato, i cosiddetti brownfields, rendendo più stringenti le relazioni orizzontali, tra organismi simili deterritorializzati, rispetto a quelle verticali, tra organismi scalarmente differenziati all’interno di uno stesso sistema territoriale, aprendo la stagione in corso delle Network Cities.

L’ibridazione nel processo formativo dei tipi edilizi

Riconosciuto il carattere antropologico del processo di ibridazione, e accettatone il significato tipologico, ovvero assimilandone gli esiti a compiuti prodotti sociali, si possono chiaramente identificare quattro distinte fasi di sviluppo, a cui corrispondono altrettante strategie di articolazione della compagine sociale. Nella prima, che si estende dalle origini all’epoca medievale, l’ibridazione costituisce una fase transitoria del processo di trasformazione del paesaggio antropizzato, alle diverse scale di complessità relazionale. Essa si manifesta all’insorgere di un mutato sistema di rapporti di produzione, di organizzazione sociale e di corrispondenti valori culturali all’interno di un territorio assegnato, e si esprime attraverso la progressiva assimilazione di ciò che già esiste nell’alveo del nuovo quadro. L’ibridazione, in tal senso, dà forma ad una condizione di sospensione tra il “non più” dell’assetto precedentemente raggiunto e il “non ancora” della nuova configurazione. Si può così affermare che l’ibridazione si collochi all’interno di una visione “organica” dell’esistenza.
Fenomeni di ibridazione sono pertanto quelli che si registrano nei tessuti di primo impianto a corte quando le preliminari spinte attrattive esercitate dal fronte strada, quale luogo di scambio, determinano fenomeni di “tabernizzazione”, con progressiva apertura delle cellule più periferiche sull’esterno, allorquando il processo di metabolizzazione dei tipi edilizi originari non si sia integralmente compiuto, generando aggregati di corti-schiere per sistematico frazionamento delle particelle della domus.
In generale, ogni forma di riciclo delle strutture edilizie esistenti, espressione di un compiuto assetto sociale, finalizzata alla costruzione di nuove configurazioni spaziali, coerenti al mutato quadro, passa attraverso stati successivi di ibridazione, più o meno evidenti, che testimoniano le tensioni implicite in passaggi epocali mai pacificati.
Nella seconda, che dal Rinascimento si estende per tutta la durata dell’Ancient Regime, il rapporto con un diverso sistema di valori si esprime per conflittualità, ovvero per relazioni oppositive. La cultura rinascimentale, oltre la dimensione della città ideale, viene contrastata, in quanto portatrice di valori che operano nel senso della discontinuità. Le ragioni dello spazio, controllato attraverso l’atemporalità del progetto, entrano in tensione antagonista con la dimensione narrativa e processuale della città esistente, che non intendono assimilare, quanto semmai sopraffare per progressive demolizioni. Così il Palazzo, occupando successive porzioni di isolato, o identificandosi integralmente con esso, ne riconosce al più l’intima metrica lottizzativa, ridotta a immagine nella propria articolazione compositiva d’impianto, ma rimane pur sempre un frammento nel corpo vivo della città, che dalla tensione generantesi, e mai risolta in sintesi di livello superiore, trae parte cospicua del proprio successo e della propria sfrontata iconicità (dal greco εκν, proporzione). Lo stesso dicasi degli innumerevoli percorsi di ristrutturazione attraverso i quali la città barocca aspira a trasformare per parti quella che le preesiste, senza per questo intaccarne le ragioni d’esistenza; semmai opponendo ad esse il proprio carattere imperativo, che del contrasto si nutre in modo permanente per esprimere la distanza da sè di tutto ciò che non le appartiene.
Nella terza, che si identifica con il manifestarsi della cultura borghese fino alla sua compiuta maturazione, si assiste ad una nuova interpretazione dei processi di ibridazione. La diversità di valori viene accettata nella misura in cui può risultare strumentale al raggiungimento dei nuovi obiettivi, opportunamente regolata. La frammentazione del costruito, e la specializzazione tipologica che ne consegue, è pertanto funzionale ad una società che fa della gestione delle differenze, e del relativo sfruttamento, la propria condizione d’essere. L’ibridazione è pertanto condizione di coesistenza all’interno del nuovo assetto sociale. L’entrepreneur borghese è colui che rivendica la capacità di gestire la pluralità di ruoli che la società definisce, regola e mette in rapporto di reciprocità. La classificazione dei tipi edilizi, per generi e specie, è il più coerente prodotto della nuova prassi.
Se la trattatistica rinascimentale aspira alla trasmissibilità di un linguaggio condiviso nella comunità delle Lettere, ovvero il Classicismo, la manualistica Moderna mira ad omologare la diversità dei codici, riconosciuta come legittimità, attraverso la capacità unificante della composizione, di cui la città per parti è il più recente prodotto critico e il découpage della città analoga la sua compiuta rappresentazione. Nell’ultima fase, tuttora in corso, il processo di ibridazione pare strutturale, ovvero interno alla natura stessa dell’organizzazione sociale.
A partire dalle Neo-Avanguardie degli anni ’60, in tutti i settori si assiste alla progressivamente destabilizzazione della Tassonomica moderna. La rivoluzione dei costumi – geografico-insediativi, economici, comportamentali e culturali – determina una sistematica destabilizzazione degli assetti tipologici ereditati. Alla netta distinzione delle scale di intervento operata dal Funzionalismo internazionale, a cui corrispondono altrettanti livelli di complessità relazionale della società, subentra la reciproca compresenza, che dal severo immaginario megastrutturale di Metabolism, attraverso la visionarietà Pop di Archigram e Cedric Price, approda alla più recente sperimentazione ludica di OMA/Rem Koolhaas, Christian de Portzamparc e Biarke Ingels Group, in cui casa, tessuto città e paesaggio sembrano implodere nella dimensione agglutinante della bigness quale compiuta espressione della Network Society.
Alla omogeneità e coerenza di interventi in sè compiuti e autosufficienti, che aspirano a tradurre linearmente nell’esperienza dello spazio il rapporto con il proprio tempo storico, si sostituisce la cultura della compresenza e della trasversalità che, mediante l’applicazione di metodi decostruttivi, approda alle ibridazioni di Bernard Tschumi, Peter Eisenman, Daniel Libeskind, Ben van Berkel e FOA, in cui l’architettura mette in scena il flusso ininterrotto del proprio farsi attraverso il montaggio discontinuo dei relativi linguaggi, rivelandone le sottostanti ideologie. Alla specializzazione funzionale dei tipi edilizi, espressione di una ricerca di corrispondenza tra forma e ruolo, che si basa sul principio di obsolescenza programmata, si sostituisce la ricerca di adattabilità del costruito a modificati stili di vita, che dalla sistemica neo-primitiva presente nello Strutturalismo olandese, attraverso la fissità metafisica della Tendenza rossiana, approda all’opera di Neutelings & Riedijk e De Architecten Cie, in cui il processo di metabolizzazione del costruito, e la molteplicità possibile degli esiti relativi, viene teatralmente rappresentato nello spazio del progetto.
Alla netta separazione tra dominio pubblico e dimensione privata, sulla cui gerarchizzazione si fonda la cultura della Modernità, subentra la reciproca compenetrazione e il ribaltamento di ruoli che, negli opposti esiti della Non Stop City di Archizoom e del civic centre polifunzionale di tradizione anglosassone, anticipa il fenomeno dello Sprawl e della residualità urbana introiettata nel mall commerciale, entrambi sublimati nell’esperienza progettuale di MVRDV e di SANAA. Alla chiara separazione dei registri comunicativi, che si esprime nella difesa del disciplinarismo, subentra la contaminazione dei codici che, attraverso la rilettura della strip americana e del decorated shed da parte di Robert Venturi e gli effimeri bricolages di Charles Moore, approda alla sperimentazione digitale di Toyo Ito, agli edifici intelligenti della Green Architecture internazionale e alla Smart City di Carlo Ratti, in cui le tecnologie dell’informazione, ormai pienamente integrate nel corpo architettonico, ne amplificano le prestazioni oltre ogni limite, trasformandole sempre più in piattaforme interattive, e ne alterano in maniera irreversibile lo statuto ontologico.

Rapporto con i materiali e le tecniche costruttive

Durante la fase di assimilazione, i processi di ibridazione si manifestano attraverso la sostituzione dei materiali originari con nuove soluzioni e/o con tecnologie in grado di modificarne il significato d’uso, come si registra nel subentrare di una cultura edilizia plastico-muraria a quella elastico lignea, ad esempio, nella civiltà greca arcaica e nella città medievale.
Nella cultura edilizia Rinascimentale l’ibridazione si esprime surrettiziamente attraverso la compresenza di due registri chiaramente distinti. Da una parte la fabbrica e il suo maestro, in cui la tettonica, quale arte del ben costruire, mette in opera la processualità narrativa del cantiere e il suo significato di prodotto sociale, attraverso l’implicito coordinamento dei diversi saperi che concorrono al suo farsi quale espressione compiuta dell’instabile equilibrio tra forze che anima la cosa pubblica. Dall’altra il progetto e il suo architetto, che annulla quella dimensione narrativa rappresentandola nello spazio logico del codice, materializzato nell’ordine architettonico sovrapposto all’edificio, a cui tutto risulta subordinato, con una evidente connotazione politica, in cui la nuova Oligarchia del “sapere” aspira paternalisticamente a prendere il sopravvento sulla cultura diffusa del “fare”.
Un caso particolarmente interessante di tale strategia ibridativa è il fenomeno del Palladianesimo, nel quale il codice utilizzato dalla cultura occidentale per identificare la casa di Dio viene per la prima volta applicato su ampio spettro anche alla casa degli uomini.
Nella società borghese il difficile equilibrio tra le due componenti viene meno. Le condizioni della produzione sono ridotte a puro sapere tecnico, privo di rappresentatività sociale, reso così disponibile ad una cultura architettonica sempre più intesa quale filiera imprenditoriale autosufficiente. Anche il codice perde di autorialità, frammentandosi in un quadro molteplice e strumentalizzato in chiave storicistica per veicolare valori ad esso associati in termini puramente convenzionali. Emblematica, in tale prospettiva, la vicenda della Scuola di Chicago e la cultura del Manhattanismo.
Il Moderno aspira a ricomporre la frattura, ristabilendo l’unità perduta tra processualità del fare industriale e implicito valore sociale degli esiti relativi, bandendo ogni forma di ibridazione, ma non tiene conto della complessità di un reale ben più articolato e molteplice di quanto le grandi Narrazioni, parafrasando Paul Ricoeur, abbiano inteso propagandare. La Post-Modernità registra pertanto l’ibridazione, intesa quale compresenza degli opposti, come condizione strutturale, anche nel ciclo edilizio. Saperi artigianali e cultura industriale, materiali naturali e prodotti artificiali, esperienza reale e mondo virtuale, condizionamenti locali e dimensione internazionale, aspirano a coesistere nella consapevolezza che dalla reciproca fertilizzazione, all’interno di una visione pacificata e non conflittuale dei rapporti, possa sorgere una cultura “altra”. Tuttavia tale clima si manifestano secondo due distinte attitudini, tuttora presenti. Una filone di ricerca riconosce ancora nel linguaggio un prodotto sociale – espressione dei condizionamenti geografici, economici, comportamentali e culturali del proprio tempo storico – ancorchè plurimo nel suo dispiegarsi molteplice, e che si esprime attraverso i registri di un sincero Eclettismo. L’altro, identificando nelle forme il surrogato dei contenuti, e non il suo complemento, sostituisce alla città reale la città analoga, che delle sottostanti dinamiche restituisce un’autonoma e fittizia rappresentazione, destinata a banalizzare ogni contributo espressivo. Nella società plurale e multietnica, la produzione edilizia non può far altro che registrare incessantemente la contaminazione quale condizione d’esistenza in una situazione di programmatica discontinuità.

Bibliografia

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