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Islamica, architettura

Aleppo (Siria), Ingresso alla cittadella.
Aleppo (Siria), Ingresso alla cittadella.

Definizione

Espressione utilizzata per indicare la produzione architettonica dei paesi di religione musulmana: la penisola arabica, il Medio Oriente, il Nord Africa, l’Africa orientale, la Sicilia, la penisola iberica, la penisola balcanica, l’Anatolia, l’Asia centrale, il subcontinente indiano, l’Indonesia e parte della Cina.
Il termine, coniato all’inizio del XX secolo dal mondo accademico europeo in una prospettiva orientalista, non tiene conto delle specificità delle culture regionali nei diversi periodi storici, riferendosi all’architettura di regioni molto ampie, i cui principi costruttivi, linguistici e tipologici variano grandemente, seppur all’interno di regole comuni, e sono, pertanto, il risultato del sincretismo tra i caratteri dell’architettura araba e dei paesi conquistati dall’Islam dal VI secolo ad oggi.

La città e le sue tipologie

Così come per l’architettura, le città e le altre forme di insediamento, accomunate dalla generale appartenenza al mondo dell’Islam, sono ben lontane dal costituire materia unitaria, definita da precisi ambiti territoriali, limiti cronologici o modelli urbani omogenei. La formazione delle città islamiche nelle aree già occupate da altre culture, molte delle quali di antiche tradizioni urbane, è stata condizionata da almeno tre variabili che ne hanno determinato una estrema diversificazione: la storia locale e la presenza di strutture insediative sostrate, i condizionamenti geografici e climatici, i condizionamenti della molteplicità etnica.
Ciononostante, nella struttura delle città pre-moderne è possibile rileggere la presenza di alcuni caratteri costanti: la moschea congregazionale (Jami Masjid) ed il palazzo del governo (Dar al-Imara) in condizione baricentrica rispetto alla medina; gli edifici pubblici quali bagni (hammam), scuole (madrasa), ospedali (maristan), ospizi e refettori, nelle aree più pubbliche della città e dei quartieri; il complesso sistema commerciale dei caravanserragli e del suq (la struttura che maggiormente caratterizza la città islamica, differenziandone i caratteri rispetto alle città medievali delle altre culture) sulla viabilità principale urbana e di quartiere, che è basata su un sistema gerarchico “ad albero” (in cui si passa dai percorsi pubblici commerciali a quelli sempre più privati delle strade di quartiere e di vicinato, fino al cul-de-sac, vicolo cieco di accesso all’edilizia residenziale).

Origini dell’architettura e dell’urbanistica islamica

L’origine dell’architettura islamica, identificata da molti nella casa che Maometto (ca. 570-632) fece costruire per sé a Medina, è nell’influenza dell’architettura yemenita sulla cultura costruttiva della penisola arabica, così come leggibile nel Masgid al-Haram alla Mecca o nelle moschee di Basra, Kufa, San’a. La struttura delle prime moschee a sala ipostila, derivata dalla fusione tra le apadana della tradizione achemenide e le agorà di tradizione ellenistica, si è da subito scontrata con i caratteri costruttivi e tipologici delle diverse regioni conquistate dando luogo a varianti significative: l’origine dell’architettura islamica è, quindi, nell’incontro sincretico di elementi provenienti dalla tradizione araba, siriaca, bizantina, berbera, persiana-sasanide.
Le prime città islamiche sono nate o, come nei casi di Kufa (638), al-Fustat (640), al-Kairawan (671), per stabilizzazione di campi militari i cui impianti, pur seguendo modelli insediativi differenti, prevedevano la moschea congregazionale e il palazzo del governo al centro di una struttura ripartita per etnie; o per trasformazione delle città conquistate (come Damasco o Gerusalemme) attraverso un diverso impiego delle loro strutture; o per fondazione di nuovi insediamenti nei pressi di città esistenti (come Chalcis/Quinnasrin o Aqaba/Ayla).
L’architettura di culto omayyade  è stata influenzata dall’edilizia religiosa e palaziale bizantina con l’utilizzo di maestranze locali per l’edificazione della Cupola della Roccia (685-7) e della Moschea di al-Aqsa (674) a Gerusalemme o della Moschea di Damasco (714). Nell’architettura secolare dei palazzi di Gerusalemme (705-715) e di Amman (724-743), ma soprattutto nei “castelli del deserto” tra Siria e la Giordania, tra cui Qusayr Amra (711), Anjar (714-15) e Khirbat al-Mafjar (739), Qasr al-Mshatta (743-44), le influenze bizantine e sasanidi sono commiste.
Con gli abbasidi il trasferimento della capitale da Damasco a Baghdad ha comportato lo spostamento del baricentro culturale dell’impero in area iranica. Ciò è particolarmente evidente nella Baghdad (762) di al-Mansur, nella Samarra (836) di al-Mu’tasim, nella moschea di Ibn Tulun al Cairo (870-879) e nella Grande Moschea di Kairouan (670-863).
Dalla dominazione fatimida i caratteri dell’architettura islamica si sono notevolmente differenziati, tanto che non è possibile più leggerli come unitari ma come declinazioni regionali di principi comuni.

I centri di diffusione

Africa del nord e Spagna
L’architettura islamica dell’Africa del nord e della Spagna ha assunto caratteri autonomi per via del forte influsso del sostrato indigeno berbero, oltre che della sostanziale indipendenza politica dal Vicino Oriente.
Le architetture del califfato omayyade di Cordoba (756-1031) derivano da quelle siriane, con influenze abbasidi e romane: ciò è evidente nella Grande Moschea (786-988) e nell’Alcázar (784) di Cordoba e a Madinat al-Zahra (978-997). Le dinastie degli Almoravidi (XI-XII sec.) declassano la Spagna a centro provinciale ma con i Nasridi (1230-1492) riprendono le grandi costruzioni, di cui esemplare è l’Alhambra a Granada (XIV sec.).
L’architettura islamica del Maghreb (Algeria e Marocco) e dell’Ifriqiyya (Tunisia) raggiunge il suo apogeo tra l’XI e il XII sec. con le dinastie Almoravidi e Almohadi (sotto le quali nascono o vengono rifondati nuovi centri urbani, tra cui Fez, Rabat e, nel 1070, la nuova capitale Marrakesh), Merinidi (XIII-XV sec.) e Hafsidi (1229-1574), presentando sia strette relazioni con la tradizione omayyade andalusa che forti influenze berbere.
Nell’Africa del Nord il materiale prevalentemente utilizzato è il mattone, con orizzontamenti in legno e cupole ad archi incrociati o a spicchi. La variante nordafricana della moschea a sala ipostila araba è rappresentata dalla sala di preghiera con navate, di cui quella centrale rialzata, perpendicolari al muro qibla e transetto rialzato, tale da conformare un dispositivo a “T”, come nel caso di Kairouan (670-863), che rappresenta il riferimento per le Grandi Moschee di Tunisi (864) e di Sfax (849), e le successive Grande Moschea di Algeri (1061-1106) e al-Qarawiyyin di Fez (1135).

Regione siro-egiziana
Con le dinastie degli Ayyubidi e dei Mamelucchi i caratteri dell’architettura islamica della regione siro-egiziana si discostano definitivamente dalla tradizione mesopotamica, rielaborando in maniera autonoma il portato della tradizione ellenistico-bizantina già islamizzata della Siria.
L’epoca degli Ayyubidi (1171-1250) è caratterizzata da lotte per il territorio: guidati da Saladino s’impadroniranno dell’Egitto, dello Yemen, dello Hijaz, dell’Iraq, della Grande Siria (Bilad al-Sham) lasciando un’architettura in pietra calcarea (gialla, grigia e rosa) ricca di sincretismi con gli edifici militari crociati, come negli esempi della cittadella del Cairo (1176) o di Aleppo (1230). Di epoca ayyubide rimangono numerose moschee con struttura della sala di preghiera a navate parallele al muro qibla, oltre a madrase e ospedali, quali la Madrasa al-Nuriyya al-Kubra (1167) e il Maristan Nur ad-Din (1154) a Damasco, la Madrasa al-Firdaws (1233-1235) ad Aleppo e la Madrasa as-Salih Najm ad-Din (1242-50) al Cairo, in cui vi sono sperimentazioni di iwan e muqarnas e che, nell’impianto tetraiwanico, risentono di influssi iranici.
I Mamelucchi (1250-1516) realizzano, principalmente al Cairo, capitale del sultanato, grandi complessi di moschee-madrase in pietra da taglio, comprendenti ospedali e mausolei, quali Sultan Qalawun (1284-5) e Sultan Hasan (1356-62), e moschee, quali la al-Zahir Baybars (1262-3) o al-Nasir Muhammad (1318-1335), di tipo arabo con influenze iraniche. Qui si sviluppa una variante significativa di moschea, detta a qa’a, quali le Qa’it Bey (1475) e la Qigmas al-Ishaqi (1480-81), dotata di vano centrale coperto e illuminato da una lanterna e servito da due ambienti laterali, interpretato come la contrazione del sistema tetraiwanico dell’edilizia residenziale delle case a corte di Fustat.

Regione irano-mesopotamica
L’architettura islamica della regione irano-mesopotamica reinterpreta i caratteri architettonici delle culture parta e sasanide in forme originali. Con la “Rinascenza iranica” del IX sec. i caratteri delle moschee si definiscono con l’introduzione dell’iwan e del “chiosco” (vano cupolato derivato dal cahar taq, il tetrapilo del tempio del fuoco zoorastriano), elementi che porteranno alla specializzazione da moschee a sala ipostila di tipo arabo, quali quella di Susa (639), la Tarik Khana di Damghan (750-789) e di Ardistan (X-XI sec.), a quelle a struttura tetraiwanica con sala cupolata. Esemplare a questo proposito è il processo di trasformazione sotto i Grandi Segiuchidi di Persia (1037-1187) della Moschea del Venerdì di Isfahan (772-XIII sec.) il cui impianto diventerà tipico per le moschee di area iraniana e centro-asiatica.
Con l’occupazione mongola della regione (XIII secolo) vi è l’introduzione di elementi provenienti dall’Estremo Oriente e l’accentuazione verticale dell’architettura e, in particolare, degli iwan, che assumono dimensioni ragguardevoli, e delle cupole impostate su alti tamburi e caratterizzate da un profilo ovoide accentuato, come nel mausoleo di Olgeitu a Sultaniyya (1309-1313). Ciò prelude al gigantismo e all’aspetto bulboso dell’architettura centro–asiatica dei Timuridi (1370-1526), proprio del Mausoleo di Tamerlano a Samarcanda (1405), della moschea di Bibi-Khanum (1399-1404), delle architetture di Bukhara o degli interventi monumentali di ricostruzione di Samarcanda (1371).
L’architettura dei Safavidi (1501-1736) accentua il gigantismo architettonico e urbano e tende all’annullamento dei nodi tettonici delle strutture in mattoni impiegando rivestimenti continui di ceramica. Ciò è particolarmente evidente ad Isfahan, dove Shah Abbas (1588-1629) trasferisce la capitale estendendo la città verso il fiume, costruendo nuove strutture edilizie tra cui il maydan, su cui si affacciano il palazzo e la loggia di Ali Qapu (XVII sec.) e le moschee di Shaykh Luftullah (1617) e dello Shah (1611-1638).

Regione anatolica
I caratteri dell’architettura islamica in Anatolia si differenziano da quelli delle regioni limitrofe sia per la forte influenza del mondo bizantino e armeno che per la cultura costruttiva legata all’utilizzo della pietra. L’influenza dei Selgiuchidi d’Iran su quelli di Anatolia, i Selgiuchidi di Rum (1077-1307), si fonderà con i caratteri locali, dando vita a risultati di estrema raffinatezza e originalità. Ciò è leggibile nell’impianto e nella decorazione del portale della moschea Alaeddin di Konya (1116-1156), nella combinazione cupola-iwan delle moschee reali, negli impianti tetraiwanici di madrase quali quelle di Sivas (1271) e Kaysery (1205-1238) o di ospedali come a Divrigi (1228-9). Nell’edilizia civile assumono grande importanza i caravanserragli.
L’architettura dell’Impero Ottomano rispecchia un progressivo passaggio da impianti seriali a sala ipostila, quali l’Ulu Cami di Manisa (1366-67) e la moschea di Bursa (1339-1340), a impianti a “T” derivati dalla madrasa, quali la moschea Yesil a Bursa (1412-19), verso una maggiore organicità, che culminerà, in seguito all’influenza bizantina, dopo la conquista di Istanbul nel 1453, nei progetti di Sinan per moschee a pianta centrale, quali la Selimiyye di Edirne (1568-74). L’espansione dei centri urbani e del commercio comporterà un grande sviluppo, nelle maggiori città, dei carsi, collegati alle reti carovaniere e ai caravanserragli, delle grandi istituzioni (imaret e kulliyye), quali la Suleymaniye di Istanbul (1548-1559) contenenti moschee, bagni, cucine per i poveri, ospedali, ospizi e servizi vari, e delle archietture palaziali, quali il Topkapi di Istanbul (1459-73).

Regione indiana
I caratteri dell’architettura islamica si codificano in India solo dopo il X secolo. Ciò si risolve in tipologie ibride di mausolei e moschee, derivate dall’interazione tra la cultura musulmana con quella Rajput dell’India nord-occidentale; in tecniche costruttive ibride, poiché le strutture degli archi e delle volte erano sconosciute all’architettura indiana che utilizzava sistemi non spingenti di pietra arenaria rossa; nella presenza di mausolei circondati da parchi secondo la tradizione iraniana; nell’architettura dei grandi palazzi, molto complessi, con padiglioni al centro di giardini.
L’architettura del Sultanato di Delhi rappresenta una fase di ricerca e sperimentazione, che culmina nella costruzione della moschea Quwwat al-Islam (1193) su un’alta piattaforma a gradoni e sala di preghiera con iwan e coperta da cupole. Le dinastie dei Khalgi (1290-1320), dei Tughlaq (1320-1414) e dei Lodi (1451-1526) codificano la propria architettura dinastica: ciò è leggibile nel mausoleo di Rukn-i-Alam (1251-1335) e di Tughlaqabad, nella moschea di Kirki Masjid (1375) o nel Giardino dei Lodi (XV-XVI sec.).
Nel 1555 l’unificazione del paese ad opera dei Moghul e di Akbar comporta la diffusione di uno stile eclettico leggibile nelle architetture del Jahangiri Mahal (1585) e nel Taj Mahal (1632-1648) di Agra, del mausoleo di Hamayun di Dehli (1560-1561), e soprattutto nella fondazione di Fathpur Sikri (1570-1584).

Asia sudorientale e Cina
L’architettura islamica in Cina ha esiti particolarmente interessanti nelle regioni di Uighuri e di Kashgar, città oasi sulla Via della Seta, dove sono forti le influenze dell’architettura islamica centroasiatica.
Solo verso la fine del XV secolo l’Islam si afferma a Sumatra, Giava e nelle altre isole dell’arcipelago indonesiano, dove i caratteri architettonici dell’architettura islamica non si distinguono da quelli indù.

Bibliografia

Cuneo P., Storia dell’urbanistica. Il mondo islamico, Bari-Roma 1986; Eslami A. N., Architettura del mondo islamico. Dalla Spagna all’India (VII-XV secolo), Milano-Torino 2010; Hoag J., Architettura islamica, Milano 1978; Monneret de Villard U., Introduzione allo studio dell’archeologia islamica: le origini e il periodo omayyade, Roma 1966; Petruccioli A., After Amnesia: Learning from the Islamic Mediterranean Urban Fabric, Bari 2007; Petruccioli A., Fathpur Sikri: la capitale dell’impero Moghul, la meraviglia di Akbar, Milano 2007; Pope A., A Survey of Persian Art, from Prehistoric Times to the Present, New York 1938.

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