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Labirinto

Pompei, casa del labirinto, pavimento musivo.
Pompei, casa del labirinto, pavimento musivo.

Definizione-Etimologia

Dal greco λαβύρινθος, in latino labyrinthus, etimo di origine incerta, secondo alcuni derivato da λάβρυς, nome con il quale si indicava l’ascia bipenne, simbolo della forza con cui, secondo il mito, Teseo avrebbe ucciso il Minotauro, l’essere mostruoso figlio della regina Pasifae e di un toro, rinchiuso dal re Minosse in un intricato edificio costruito da Dedalo a Cnosso (Teseo ne sarebbe poi uscito riavvolgendo il famoso filo d’Arianna).
Secondo altri il vocabolo deriverebbe da λαμβάνω (prendo, accolgo) e da ρινάω (inganno), oppure da λαύρα (viottolo, cammino stretto). Con questo termine si indica un percorso complesso nel quale è facile entrare ma, senza una guida, è estremamente difficile orientarsi. Jorge Luis Borges (1899-1986), scrittore argentino (a cui, nel giugno 2011, è stato dedicato un “giardino dai sentieri che si biforcano” alla Fondazione Cini di Venezia) che nelle sue opere spesso evocò la metafora del labirinto, così lo definisce nel racconto L’immortale (tratto da L’Aleph, scritto nel 1949): “Un labirinto è un edificio costruito per confondere gli uomini; la sua architettura, ricca di simmetrie, è subordinata a tale fine”.

Generalità e origini

Il labirinto, a seconda del tipo di tracciato, è detto unicursale (ovvero con una sola entrata e una unica via che conduce al centro e, quindi, da qui di nuovo verso l’uscita; anche labirinto classico) o multicursale (con diverse biforcazioni, molteplici entrate e uscite, più centri).
Può essere opera della natura, come, ad esempio, nel caso dell’intricato sistema delle grotte di Postumia, in Slovenia, generatesi nel tempo per erosione delle acque tartaree sulle pareti di roccia calcarea, oppure realizzazione dell’uomo, attuata a scopo di protezione, si pensi al sistema di gallerie segrete create dagli egiziani per preservare da possibili intrusioni la camera funeraria nelle tombe reali o al sepolcro straordinario del Lars etrusco presso Clusium (Chiusi), secondo il racconto di Plinio (Nat. Hist. XXXVI, 84 seg.), ma anche alle fortificazioni delle città antiche (così nella rocca di Micene) o alle catacombe romane sviluppate nella profondità della terra, allo stesso tempo abitazione, luogo di culto e sepolcreto. Può anche rivestire valori artistici e simbolici: motivi meandriformi figurano già nei graffiti rupestri della preistoria europea (in Italia, ad esempio, a Luzzanas in Sardegna e in Val Camonica, nella rupe di Naquane), si rinvengono nelle ceramiche attiche e, quindi, nell’arte ellenistica e romana (assai diffuso nelle colorate decorazioni pavimentali e parietali, come testimoniano, tra gli altri, il mosaico della cosiddetta Casa del Labirinto e i graffiti della Casa di Lucrezio scoperti a Pompei o lo splendido pavimento musivo rinvenuto durante gli scavi nel centro di Cremona, ora al Museo Civico cittadino) e rivivono una nuova e fervida stagione nell’ornamentazione medievale e moderna.

Il significato del labirinto nel Medioevo

Nel Medioevo con il labirinto veniva rappresentato l’aldilà e il lungo e faticoso viaggio dell’anima verso la rigenerazione e la rinascita, esaltato nel centro, punto ideale di intersezione tra gli Inferi, la Terra e il Cielo, spesso raffigurato nell’immagine simbolica della città di Gerusalemme. Durante il XII secolo il labirinto veniva sovente raffigurato in forma circolare sul pavimento all’interno delle cattedrali, come monito per i fedeli verso i pericoli e gli inganni della vita o come simulacro del cammino di espiazione in Terra Santa per coloro che non potevano recarvisi (da cui la locuzione Chemin de Jhérusalem con cui questi labirinti sono detti nel francese medievale). Tra i più importanti esempi pervenuti, sfidando il tempo, l’incuria e i saccheggi, si segnalano quelli nella basilica di Reparato ad Orléanville (El Asnam) nei pressi di Algeri e nel San Vitale a Ravenna.
Al significato religioso però si sostituì a volte quello pagano, allegorico e più propriamente figurativo. Così nel San Michele Maggiore a Pavia al centro del labirinto c’è una interpretazione dell’antico mito del Minotauro (qui in forma di centauro con la testa taurina) circondato da raffigurazioni di Davide sovrastato da Golia; Teseo in lotta con il terribile mostro forse compariva in una medaglia di bronzo al centro anche del piccolo labirinto circolare situato su un pilastro verso l’ingresso del duomo di San Martino a Lucca; segni zodiacali, simboli e motti sono invece nel labirinto di San Savinio a Piacenza. Diversamente nei policromi labirinti delle cattedrali di Arras, Amiens e Chartres tra i meandri sono le effigi di Dedalo, il primo architetto del labirinto, o di altri capimastri che realizzarono nuove straordinarie fabbriche (è stato rilevato come la presenza degli architetti o dei committenti potesse simboleggiare l’intervento delle corporazioni laiche nella costruzione delle cattedrali, con l’intento di glorificare l’opera dei maître d’oeuvres; questi labirinti saranno detti anche Domus Daedali, in francese Maison de Dalus, Daedale o Méandre).
Molti dei labirinti pavimentali presenti nelle chiese – quello di Reims è l’esempio più noto – vennero però smantellati nel XVIII secolo perché, caduta la funzione simbolica che li aveva originati, erano divenuti motivo di attrazione per i bambini, spinti al gioco anche durante le funzioni sacre.
Nel Medioevo il labirinto fa la sua comparsa anche nei giardini come esplicita evocazione del Paradiso (termine con il quale, secondo la tradizione del Vicino Oriente, in origine veniva indicato proprio un luogo piantato da alberi o un orto) e come metafora della ricerca per la salvezza dell’anima attraverso gli atti eroici delle Crociate. «Percorrendo i labirinti, le dame potevano immaginare di partecipare con lo spirito alle prove dei loro sposi o dei loro cavalier serventi, così come si segue la via crucis sui muri di una chiesa» (R. Mallet, Jardin et paradis, Paris, 1962).

Il Rinascimento

Ma è nel tardo Rinascimento che il labirinto botanico multicursale, ora completamente spogliato di valori simbolici e religiosi per raffigurare la libertà, il gioco e il fasto della nuova epoca, si diffonderà anche in ragione del dilagare della “topiaria”, ovvero dell’arte del dare forma alle siepi. Fantastici esempi verranno realizzati in ogni parte d’Europa, dall’Italia (si ricordano quelli nella Villa Pisani a Stra, nella Villa Altieri che Clemente X si fece costruire a Roma, nella villa Barbarigo a Valsanzibio presso Padova), alla Francia (celebre il labirinto realizzato a Versailles per Luigi XIV da André Le Notre, autore anche di un altro notevole esempio nel castello di Chantilly), all’Inghilterra (dove dilagò una vera e propria passione per i labirinti, straordinariamente espressa nel giardino del castello reale di Hampton Court, poi largamente diffusa dalla trattatistica del tempo).
Con analoghe valenze profane, in quegli stessi tempi il labirinto adornava le più prestigiose residenze gentilizie: fra gli esempi più rilevanti quello presente in una delle sale nel Palazzo Ducale di Mantova, la cosiddetta Sala del labirinto dell’Appartamento Ducale realizzata all’inizio del XVII secolo da Antonio Maria Viani per Vincenzo Gonzaga, dove il soffitto è interamente coperto da un labirinto dorato e colorato nei cui meandri è intagliata la scritta “Forse che sì, forse che no”, probabilmente derivante da una frottola amorosa del XVI secolo. Altri labirinti decorano il palazzo mantovano: nella Sala dei Cavalli si trova l’affresco rappresentante il Monte Olimpo su un labirinto d’acqua, si ritiene eseguito intorno al 1530 probabilmente dal salisburghese Hans Bocksberger quale parte di un ciclo di più ampie dimensioni; un labirinto di piante di bosso, come documenta un disegno di Marten Van Heemskerck (metà XVI secolo circa), abbelliva in origine il Cortile d’Onore.

Ravenna, San Vitale, pavimento musivo decorato con un labirinto circolare.

Ravenna, San Vitale, pavimento musivo decorato con un labirinto circolare.

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