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Monumentalismo

Torre Velasca a Milano, studio BBPR, 1956/58.
Torre Velasca a Milano, studio BBPR, 1956/58.

Monumentalismo e monumentalità

Al fine di inquadrare in modo esteso ed esauriente la problematica relativa all’idea di monumentalismo, è necessario chiarire preliminarmente la differenza che esiste tra tale idea e quella di monumentalità. Si tratta della stessa differenza che intercorre ad esempio tra alcune nozioni come quelle di storicità e di storicismo, di classicità e di classicismo, di modernità e di modernismo. Una differenza importante, perché è funzione di due campi tematici paralleli ma distinti. Campi i quali, se confusi, darebbero vita a punti di vista incerti e approssimativi non solo sull’argomento specifico del monumento, ma soprattutto sulle risonanze che a causa delle vertenze, dei fraintendimenti e delle distanze che la sua presenza e il suo ruolo determinano il momento stesso e il suo significato, hanno sull’intero sistema della cultura.

Monumentalità

L’idea di monumentalità è una categoria fondativa del territorio-paesaggio e della città. Essa indica la presenza in ogni ordinamento territoriale e paesistico, nonché in qualsiasi insediamento urbano, di una componente particolare che si definisce per la sua singolarità in rapporto a una materia edilizia diffusa, ovvero che stabilisce dialetticamente la sua avversità rispetto a quell’edilizia di base, secondo una definizione di Gianfranco Caniggia, identificata dalla sua organizzazione seriale e dall’omogeneità tipologica delle sue parti. In sintesi il territorio-paesaggio, vale a dire quella porzione del mondo fisico che può essere interpretata sia come un sistema strutturale di percorsi e di nuclei insediativi – il territorio-paesaggio – sia come un contesto coerente e riconoscibile di valori ambientali e visivi considerati dal punto di vista estetico – il paesaggio –, e la città sono organizzati in un binomio che unisce, a volte concordemente, a volte conflittualmente, una realtà architettonica composta di individui edilizi regolati da norme, costruiti cioè secondo parametri comuni ed edifici liberi di conformarsi secondo modalità autonome.
Da questo punto di vista la monumentalità è il carattere distintivo degli elementi speciali, quei nodi morfologici attraverso i quali il tessuto residenziale si subordina gerarchicamente rispetto ad architetture particolari come tombe, mausolei, porte e mura urbane, chiese, cattedrali, castelli, edifici pubblici di scala rilevante. La monumentalità risulta quindi da una sorta di salto di scala tematico attraverso il quale la dimensione collettiva della città, che peraltro caratterizza anche il tessuto residenziale, trova la sua rappresentazione più riconoscibile, elevata e in qualche modo permanente, se messa a confronto con la materia abitativa contrassegnata da modificazioni molto più frequenti e radicali.

Monumentalismo

Se la monumentalità è una categoria istitutiva della città, un principio urbano che integra la sua eccezionalità alla ripetitività della residenza, il monumentalismo è la tendenza a generalizzare il ruolo del monumento accentuandone la presenza nello spazio urbano fino ad annullare quasi completamente l’equilibrio che deve sempre esistere tra normalità e singolarità. Il monumentalismo è quindi un incremento consapevole della monumentalità che si configura come una tendenza sovrastorica, rintracciabile in epoche lontane e diverse.

Per quanto detto, con la parola monumentalismo si indica un orientamento architettonico consistente nel potenziare, nella gerarchizzazione funzionale e formale degli edifici, quelli che si assumono il ruolo di presenze territoriali o urbane destinate a ricordare, celebrare e descrivere un certo sistema politico, una determinata personalità, un avvenimento storico, ad esempio una battaglia o la conquista di una città, un luogo geografico di particolare importanza o un’opera significativa come la costruzione di una strada o di un ponte. Oltre a queste funzioni, il monumento si pone anche come elemento che genera timore, sorpresa e ammirazione. In questi casi il monumento è l’esito di un’intenzione precisa e di un programma architettonico accurato. La Colonna Traiana, che si eleva al centro del Foro omonimo, vuole celebrare prima di tutto l’imperatore che lo eresse, poi la sua impresa militare contro i Daci, che lo portò ad annettere a Roma l’attuale Romania e infine, con la sua altezza, quella dell’altura che prima della sua costruzione univa il Campidoglio al Qurinale, un rilievo tufaceo che fu spianato per fare spazio alle nuove strutture traiane.

Monumenti e loro caratterizzazione

Tuttavia i monumenti non sono tutti l’esito di un’intenzione. Alcuni edifici diventano monumenti per la loro stessa qualità architettonica, perché sono stati testimoni di straordinari eventi storici o per il fatto di essere stati, nel corso della loro esistenza, sottoposti a modificazioni che ne hanno esaltato la forma e il significato. Il Colosseo non nacque come un monumento, ma lo divenne in quanto nodo centrale di importanti visuali urbane e soprattutto per merito delle sue grandi dimensioni e per la sua natura di straordinaria macchina per spettacoli.

Accade anche che manufatti usati per le funzioni più diverse siano riconosciuti come monumenti perché, durante la loro esistenza, un cambiamento della mentalità architettonica ha individuato in essi altrettanti modelli impliciti di architetture nuove. È il caso dei grandi silos granari che all’inizio del Novecento furono indicati da Le Corbusier nel suo Vers une architecture come opere le quali, nella loro semplicità costruttiva e nella novità della loro forma, avevano prefigurato il futuro dell’architettura. Può anche accadere che un manufatto non pensato come un monumento si venga a trovare in una situazione per la quale finisce per svolgere la funzione di un determinante riferimento visivo. È accaduto al serbatoio idrico di Pomezia il quale, dopo la sua costruzione negli anni Cinquanta, è stato circondato da una serie di case trasformandosi in un autentico simbolo urbano, un monumento involontario che ha riscattato il nuovo quartiere dal suo anonimato. A volte è la stessa rappresentazione di un’architettura che ne rivela o collabora a rivelarne gli aspetti monumentali. Le nitide e circostanziate assonometrie di Auguste Choisy hanno avuto un ruolo determinante nel dare vita e nel diffondere il mito del costruire nell’antica Roma.

I tre elementi del monumento

Dal punto di vista architettonico un monumento è caratterizzato da tre elementi i quali, se non sono del tutto prescrittivi, si ritrovano quasi sempre in ogni edificio che rientri in questo genere di manufatti. Tali elementi sono la grandezza, unita quasi sempre alla semplicità dei volumi, la singolarità formale, che spesso è una vera e propria unicità, e una notevole qualità costruttiva, la quale dovrebbe favorire, se non l’eternità, almeno la lunga durata del monumento.

Grandezza fisica

La grandezza fisica comporta una rottura metrica nei confronti delle dimensioni del tessuto residenziale. La misura umana viene trascesa e sublimata come nel Colosso di Rodi e nel Foro di Alessandria, emblemi fuori scala del limite tra terra e mare, tra la città e il suo intorno. La grandezza suscita stupore e meraviglia, ma anche timore e spaesamento. Le tre piramidi che sorgono accanto al Cairo provocano, accanto alla Sfinge, un senso di vertigine che coinvolge il corpo e la mente. Simili a espressioni geografiche, prima che architettoniche, esse emanano un’energia spaziale assoluta, che trasforma la loro mole immensa nella più pura delle astrazioni. Autentici dispositivi cosmici, queste immani architetture segnano con il loro vertice un piano ideale che innalza sopra di sé e al contempo annulla la figura umana.

Singolarità formale

Il secondo elemento che identifica un’architettura monumentale è la sua singolarità formale che, come si è detto, ha spesso come esito l’unicità della forma. Gli edifici speciali appartengono essi stessi a generi tipologici – si pensi alle cattedrali gotiche, caratterizzate da una serie di soluzioni stilistiche simili – ma superano in qualche modo questo loro procedere da uno schema che li organizza attraverso un’accentuazione finalizzata dell’impianto dell’edificio e della sua traduzione tridimensionale, compreso l’apparato dei particolari costruttivi e decorativi. Il Duomo di Strasburgo e quello di Milano appartengono entrambi allo stile gotico, ma non potrebbero essere più diversi. Il primo cerca un rapporto con il tessuto urbano circostante, quasi fosse una sua ingigantita espressione metamorfica, mentre la più tarda architettura milanese si isola dal proprio contesto proponendosi come una presenza difficile da integrare nella città, come dimostra la plurisecolare questione della piazza che la fronteggia.

Solidità costruttiva

Il terzo elemento, la solidità costruttiva, è il più determinante ai fini dell’identità di un monumento, che nasce per sfidare il tempo nell’intenzione di trasmettere il suo messaggio nelle età più lontane rispetto a quella della sua costruzione. Il monumento si pone come un manufatto capace di vivere per secoli o per millenni – è il caso delle piramidi egizie – ma proprio questa lunga durata produce una sorta di suggestivo paradosso. Più gli edifici vivono, più essi subiscono, tranne poche eccezioni, una serie di trasformazioni che li adeguano a nuovi usi. In sintesi essi vivono perché vengono continuamente adattati mediante l’aggiunta o la sostituzione di parti, l’alterazione degli spazi, la predisposizione di nuovi collegamenti tra questi. Il Palazzo di Diocleziano a Spalato ospita al suo interno una città, mentre il Mausoleo di Adriano a Roma, l’attuale Castel Sant’Angelo, ha acquistato, in uno dei periodi più contrastati del Papato, le funzioni di palazzo-fortezza, configurandosi come un roccioso caposaldo a difesa del complesso del Vaticano.

Il rudere

Tra le modificazioni che i monumenti subiscono, quella più irreversibile e radicale è rappresentata dal suo ridursi a rudere, una condizione che segna il soccombere fisico del manufatto a quel tempo che esso voleva sconfiggere. La rovina esibisce la nuova struttura dell’edificio rivelandone così la costituzione interna, l’essenza estrema dei suoi spazi spogliati di ogni dettaglio, il residuo resistente delle sue relazioni con il contesto. Tuttavia, arrendendosi al tempo, il monumento, ridotto a un frammento, o a frammenti di una perduta unità, relativizza lo stesso tempo che lo ha distrutto, sottraendo a esso la sua infinità. In tal modo il monumento, anche se ridotto a resto, nel momento in cui storicizza il tempo che lo ha disgregato ribalta la sua sconfitta in una vittoria, seppure enigmatica e parziale. Esibendo se stesso come principio irriducibile, ovvero ponendosi come l’inizio e l’origine del monumento che era stato, il rudere conquista infatti una sua virtuale eternità. C’è da dire che questo desiderio di eternità è in realtà anticipato dal manufatto prima ancora che esso sia ultimato. Esiste infatti una fase della costruzione in cui l’edificio si presenta come un rudere esibendo l’immagine del suo decadere. Joseph Michael Gandy ha eseguito alcune tavole le quali, ispirandosi alla visionarietà piranesiana, mostrano la Banca d’Inghilterra di John Soane come un’immensa maceria, capace di liberare nei suoi preziosi frammenti una straordinaria carica poetica. Ma se la monumentalità esprime il destino del manufatto come rudere – si pensi alla rovina descritta da Georg Simmel – il monumentalismo tende a negare questo esito finale attraverso un plusvalore iniziale per il quale l’edificio monumentale si duplica specularmente nel proprio simulacro rappresentando il suo ruolo prima ancora di esercitarlo.

Identità del monumento

I tre elementi descritti nel paragrafo precedente, seppure si riscontrino quasi sempre in un manufatto monumentale, non ne costituiscono l’identità.

Ad esempio, alcuni monumenti non sono caratterizzati dalla grandezza, così come altri non hanno una struttura formale speciale o sono stati costruiti per la lunga durata. Per essere ancora più esatti, si può affermare che ciò che è stata chiamata grandezza potrebbe essere più esattamente identificata in molti casi come l’oggetto di un proporzionamento delle parti che allude semplicemente alla grandezza. L’edificio delle Neue Wache di Karl Friedrich Schinkel, a Berlino, ma anche la Unity Church di Frank Lloyd Wright, a Chicago, la Piscina a Trenton, di Louis Isadore Kahn, sono architetture che nelle loro ridotte dimensioni parlano un sincero e poetico linguaggio monumentale.

Allo stesso modo, la singolarità architettonica rispetto alla serialità del tessuto residenziale potrebbe essere frutto non tanto di un’intenzione precisa, ma l’esito di una particolare posizione del manufatto nella topografia urbana, come nel caso del ponte di Diocleziano a Lanciano, nodo centrale che governa le varie parti della forma urbis in cui si articola la città abruzzese.

Anche la lunga durata può verificarsi in assenza di un’accentuata solidità del manufatto. Molti edifici scoprono infatti le loro identità di monumenti senza che la loro costruzione lo prevedesse. Da qui un processo continuo di ricostruzione e restauro che li immobilizza, per così dire, in una certa fase della loro esistenza. Molte opere del Novecento – la Ville Savoye a Passy, vicino Parigi, di Le Corbusier, la Casa del Fascio di Giuseppe Terragni a Como, la Casa Farnsworth a Plano, a sud di Chicago, di Mies Van der Rohe – hanno oggi il dovere di durare tipico del monumento, nonostante non fossero state realizzate per superare il loro tempo.

Storia

Riassumendo quanto detto, si può affermare che ai monumenti pensati e costruiti come tali occorre aggiungere molti edifici che si configurano come altrettanti monumenti a posteriori, altrettanto significativi dei primi. Scorrendo velocemente la storia dell’architettura, non è difficile distinguere civiltà architettoniche nelle quali è prevalsa la monumentalità rispetto ad altre che hanno invece preferito il monumentalismo.

L’antichità

L’architettura babilonese e quella egiziana appartengono senz’altro al secondo tipo, mentre il mondo greco, che ha dato all’umanità edifici straordinari, si pensi soltanto ai Propilei, al Partenone e all’Eretteo, tanto per limitarsi all’acropoli di Atene, non ha quasi mai conferito alla sua architettura una dimensione notevole e una solidità eccedente quella che è propria degli edifici importanti. Anche le vicende del Tempio di Salomone non rivelano che l’antica cultura architettonica ebraica abbia creduto nel monumentalismo, mentre quest’ultimo è stato senza dubbio un carattere decisivo della civiltà romana. La costruzione di ponti, acquedotti, mausolei, archi di trionfo, fori, basiliche, teatri e anfiteatri, ma soprattutto la realizzazione di strade capaci di collegare Roma con i centri più remoti del suo Impero, hanno costruito una tradizione monumentalista. In essa una volontà di autocelebrarsi attraverso efficaci sintesi architettoniche dei valori di base del mondo romano trovava una risposta monumentale anche quando il contenuto del manufatto non lo richiedeva espressamente.

Il Medioevo e il Cinquecento

Nel Medioevo Roma non costruì nuovi monumenti, ma rinnovò il senso dell’antico monumentalismo con le raccolte di informazioni contenute nei Mirabilia urbis. Monumentalista fu la Roma cinquecentesca, mentre quella barocca, a parte l’emergenza della ricostruita mole petriana, coronata dalla cupola michelangiolesca, fu semplicemente monumentale, coniugando i valori spesso pittoreschi del contesto urbano con una fitta disseminazione di autentiche scenografie costruite che non superano mai la scala del tessuto.

Il Settecento e l’Ottocento

È il Settecento il secolo nel quale comincia, con la crescita prima lenta poi travolgente della borghesia urbana, che trovò nell’Illuminismo il suo corrispettivo ideologico, una tendenza al monumentalismo urbano. Se architetture settecentesche come la Reggia dei Borboni a Caserta di Luigi Vanvitelli, e la precedente Versailles, si configurano come presenze monumentali che sfiorano il fuori scala, i giardini e i parchi che le circondano propongono una visione monumentalistica che proietta queste architetture nel territorio attraverso quella “cattura dell’infinito” di cui ha scritto Leonardo Benevolo. Le opere, quasi tutte rimaste sulla carta, degli architetti della rivoluzione come Claude-Nicolas Ledoux, Étienne Luis Boullée, Jean-Jacques Lequeu, propongono un monumentalismo eroico che era stato preannunciato nelle sue linee portanti dalle allucinate acqueforti di Giovanni Battista Piranesi, intrise di uno straordinario senso del colossale.

Anche il tracciato urbano comincia in qualche caso a esprimere tra il Settecento e l’Ottocento una volontà monumentalista. Il piano di Washington di Pierre Charles L’Enfant, del 1791, è una sorta di macchina simbolica che esprime valori civili, solidaristici, antiautoritari e teosofici, mediati dalla tradizione massonica. Il piano per l’espansione di Barcellona, di Ildefonso Cerdà, del 1859, si pone a sua volta come un’esaltazione ideologico-politica dei contenuti democratici di un tipo di costruzione della città il quale, basandosi su un’iterazione assoluta di un modulo-isolato della stessa dimensione, si fa metafora di una concezione ugualitaria dell’organismo urbano. Una simile concezione aveva peraltro ispirato lo sviluppo di New York, nella quale la griglia estesa a tutta la città celebrava anch’essa l’idea che ogni cittadino avesse le stesse potenzialità di progettare e di realizzare il proprio futuro.

Il Novecento

È con il Novecento che il monumentalismo si afferma con ampiezza e decisione seguendo la rapida, imprevista e imponente crescita delle città, toccando gli estremi dell’ipertrofia retorica del Piano della Nuova Berlino di Albert Speer, e dell’ironia autocelebrativa dei mastodontici alberghi di Las Vegas, indagati nella loro ambiguità iperscalare, tra unicità e ripetizione, da Robert Venturi, Steven Izenour e Denise Scott Brown. Alcune delle avanguardie dell’inizio del secolo furono favorevoli a questo fenomeno, mentre altre presero le distanze da esso. La città futurista di Antonio Sant’Elia è senz’altro pervasa dal monumentalismo, sebbene rivolto al nuovo, così come lo è il costruttivismo di Vladimir Tatlin, l’ideatore del monumento alla Terza Internazionale. Antimonumentalista fu De Stijl, mentre l’espressionismo, con Bruno Taut, spinse il monumentalismo fino al colossale. Anche il razionalismo, sia nella versione di Walter Gropius, sia in quella di Le Corbusier, fu piuttosto distante dal monumentalismo, sebbene i progetti urbani del secondo possano per certi versi – soprattutto le proposte utopiche a scala geografica per Algeri, Rio de Janeiro, Buenos Aires – rientrare in esso.

Nel suo celebre saggio Il monumento moderno, del 1932, Gropius sosteneva la necessità che l’architettura nata dalla rivoluzione industriale superasse la concezione statica e retorica del monumento tradizionale per dare vita a processi di trasformazione dell’ambiente che rendessero la città dinamica ed evolutiva, espressione diretta e avanzata della vita urbana come realtà collettiva. In questo senso il monumento si sarebbe trasformato giorno dopo giorno in una manifestazione vivente della democrazia, lontana da ogni intenzione apologetica e da ogni finalità politica e ideologica. La visione gropiusiana fu raccolta, ma andando avanti nel secolo fu gradualmente cambiata di segno.

Il monumentalismo si appropriò, per nascondersi, del linguaggio architettonico moderno, dominando di nuovo la città. Alle forme attardate del monumento – basta ricordare in Italia le architetture, peraltro suggestive e complesse, di Armando Brasini, in Austria le hof, dallo stile neoretorico e a volte storicizzante; negli Stati Uniti gli abbandoni monumentali dell’Art Déco, con le straordinarie e angoscianti visioni urbane di Hugh Ferriss e le riprese classicheggianti degli anni Trenta – si sostituiscono così edifici moderni di ispirazione monumentale e insieme monumentalistica come, restando nella penisola, il Corviale a Roma, di Mario Fiorentino, le due emergenze verticali del Grattacielo Pirelli, di Giò Ponti, e della Torre Velasca dei BBPR, a Milano, il Garage di Piazzale Roma, a Venezia, di Eugenio Miozzi, il Vulcano Buono a Nola, presso Napoli, di Renzo Piano. Si tratta di architetture le quali, se recuperano una spettacolarità che ne fa altrettanti segnali e simboli territoriali e urbani, rinunciano a identificarsi del tutto con presenze mediatiche, lasciando che da esse emani il vero senso del costruire, fatto di ragione e, soprattutto, di mistero. In altre aree del pianeta – a Dubai, a Shanghai, a Kuala Lumpur – il monumentalismo si fa invece paradossale, esaurendosi in apparizioni intrinsecamente sradicate le quali, se suscitano stupore, corrono il rischio di essere velocemente consumate lasciando un’indelebile assenza.

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