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Poros

Definizione – Etimologia

Gr. πῶρος, lat. porus. Il nome deriva dalla pratica di cantiere dell’antichità greca ed è noto da documenti epigrafici e fonti scritte (Teofrasto, Lap. 7; Plinio, Nat. Hist., XXXVI, 28, 152). Indica essenzialmente una pietra prevalentemente calcarea, a struttura granulare a volte poco compatta, di natura sedimentaria come dimostra l’occasionale presenza di organismi marini (poros conchiglifero). Tenero, con scarsa resistente all’erosione da agenti atmosferici, il poros ha spesso richiesto un rivestimento a stucco che, nel caso di materiali molto porosi, era inteso anche a migliorarne la resa estetica.

Generalità

Le cave antiche hanno prodotto pietre con caratteristiche diverse: tenero e di colore giallastro il poros estratto a Egina (lìthos aiginàios), più duro e resistente, sempre di tono giallastro, quello delle cave dell’Attica e dell’Elide, grigio o rossastro e molto duro, talvolta conchiglifero, quello di Corinto, di Sicione, ma anche il poros estratto da cave siciliane.
La facilità di estrazione e lavorazione e la relativa leggerezza, che ne ha agevolato il trasporto dalla cava al cantiere, hanno fatto del poros uno dei primi materiali lapidei a essere usato nel momento in cui, dal VII sec. a.C., si sostituì la pietra alle iniziali strutture in legno. Molto diffuso in età arcaica, il suo impiego non è mai stato del tutto abbandonato, neanche quando più tardi si iniziò a impiegare per gli elevati il marmo. Spesso il poros è stato associato al calcare e al marmo nello stesso edificio, anche per sfruttare a scopo estetico le differenze cromatiche tra i materiali.
Il poros è stato utilizzato per tutte le parti di una costruzione: oltre a fondazioni, muri perimetrali e tramezzi interni, anche per ordini architettonici e quindi colonne (Corinto, tempio di Apollo, VI sec. a.C.; Epidauro, tholos, IV sec. a.C.) e trabeazioni (Delfi, tempio di Apollo del IV sec. a.C.; Epidauro, propilei del ginnasio, III-II sec. a.C.).

Bibliografia

Martin R., Manuel d’architecture grecque, Paris, 1960, pp. 113-114, 117-124.

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