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Rappresentazione architettonica, urbana e territoriale

Sui muri del santuario di Didime (metà  III sec. a.C.) sono incisi i disegni della curvatura delle colonne e le misure di dimensionamento dei conci.
Sui muri del santuario di Didime (metà  III sec. a.C.) sono incisi i disegni della curvatura delle colonne e le misure di dimensionamento dei conci.

Definizione

Qualsiasi forma di costruzione grafica, riproduzione o trascrizione, generalmente figurativa, avente per oggetto lo habitat umano. Comprende disegni, incisioni, dipinti e modelli tridimensionali eseguiti allo scopo di progettare, costruire, studiare e comunicare l’architettura, la città e l’ambiente. È profondamente connessa con la storia stessa dell’edificare, in quanto partecipe dell’intera storia dell’attività insediativa e dell’evoluzione culturale dell’uomo sul pianeta. Nella sua forma più frequente di immagine grafica bidimensionale si compone di segni iconici (vedi Iconico, linguaggio) e simbolici (vedi Simbolico, linguaggio) che, separatamente o congiuntamente, concorrono alla formalizzazione di un codice linguistico espressivo del rapporto dell’uomo con l’ambiente costruito e naturale.

Storia

La storia della rappresentazione è la storia dell’evoluzione del pensiero e della tecnica, costantemente riflessi nel modificarsi della capacità di progettare dell’uomo; nasce con la sua volontà (o necessità) di rappresentare insieme ciò che vede e ciò che programma. Le prime rappresentazioni in assoluto risalgono al paleolitico superiore (35.000 anni fa: grotte di Altamira, Lascaux, Niaux) e riguardano raffigurazioni di animali o episodi di caccia (in forma di resoconto o di previsione). In Valcamonica (8.000 – 2.000 anni fa) sono conservate le più antiche incisioni rupestri aventi per oggetto costruzioni (capanne di legno, interventi nel territorio, recinzioni, tracciati), nelle quali sembra testimoniato un intento previsionale oltre che descrittivo. I reperti fisici, più che gli scarsissimi documenti grafici, ci informano dell’esistenza, presso le civiltà sumera, mesopotamica ed egizia di conoscenze (geometriche, proporzionali e numeriche) idonee alla realizzazione di progetti di monumenti e di città. Tali conoscenze consentivano di mettere in relazione tra loro, anche mediante elaborazioni eseguite su disegni e modelli, differenti tipi di rappresentazione (piante, sezioni, prospetti, schemi) utili per un controllo più efficace dei modi del costruire. Nella valle del Nilo, dove le inondazioni cancellavano annualmente i confini dei poderi agricoli, la necessità di poter disporre con rapidità di criteri di misurazione e di strumenti di rilevamento a grande scala faceva sviluppare allo stesso tempo la rappresentazione territoriale e la geometria.
La cultura greca utilizzava in larga misura criteri di proporzionamento di cui si hanno testimonianze nei disegni “in opera” eseguiti su edifici in corso di costruzione: nel santuario di Apollo a Didime (metà del III Secolo a.C.) i tracciati per il taglio delle pietre sono incisi direttamente sui grandi conci di cui si compone il monumento. Così pure, presso i romani, il frontone del Pantheon (120 d.C.) è inciso in scala 1:1 sulla pavimentazione lapidea antistante il Mausoleo di Augusto. La Forma Urbis di Roma, immensa rappresentazione della città eseguita intorno al 210 d.C., era incisa nel marmo e aveva copie ridotte su papiro: sembra avesse scopo documentativo a fini catastali. Nella pittura parietale del IV stile pompeiano (seconda metà del I Secolo d.C.) sono frequenti rappresentazioni di architetture lignee presentate prospetticamente, che sono sostanzialmente prefigurazioni di ambienti abitativi e che spesso precorrono l’uso rinascimentale della prospettiva come mezzo di progettazione. Decio Gioseffi sostiene che, anche sotto il profilo geometrico, si tratti di anticipazioni quasi perfette della “costruzione legittima” albertiana (piramide visiva).
Nel Medioevo europeo la rappresentazione assume le connotazioni di disegno di cantiere: dialogo del progettista con le maestranze esecutrici. Il taccuino di Villard de Honnecourt (metà del XIII Secolo) è fonte inesauribile di notizie sulla metodologia progettuale, sulle conoscenze tecniche e sulle convenzioni rappresentative del tempo. Il disegno che emerge dalle sue pagine non ha mire di efficacia illusionistica, ma solo di oggettiva chiarezza d’esposizione; l’uomo vi figura come utilizzatore umile dei prodotti realizzati, non come centro di riferimento e di dominio dell’ambiente costruito. Traspare l’interesse per un rapporto interiore e sostanziale con il mondo, non basato su apparenze soggettive.
La soggettività, insieme con una forte valutazione della centralità umana nel proclamare il primato della ragione, scaturisce quasi improvvisamente alle soglie del Quattrocento ed è ben veicolata dalla forma di rappresentazione che maggiormente rivela la volontà di plasmare il mondo sulla dimensione umana: la prospettiva. Questo metodo, già intuitivamente usato in precedenza, con il Rinascimento diventa strumento principale di misura dello spazio costruito (e non) ed esprime la volontà e la capacità di sottometterlo alla superiore autorità dell’uomo. Le forme architettoniche vengono inquadrate, misurate e possedute attraverso una griglia geometrica assoggettabile a proporzionamenti che hanno nell’uomo il fondamentale elemento di riferimento.
Per cinque secoli, con variazioni metodologiche e stilistiche che ne intaccano solo aspetti non sostanziali, la prospettiva domina la progettazione architettonica e urbana, sottomettendo ai temi della valutazione visiva gran parte del costruito. Estende il suo dominio anche all’ambiente naturale che, ad esempio con le ville venete di Palladio, assume significato nella misura in cui si adegua a fungere da corollario dell’architettura o che, con Biagio Rossetti a Pienza, con le fortezze di Francesco di Giorgio Martini e poi con John Wood a Bath, diventa laboratorio per proiettare anche nella natura le regole della visione e della geometria. Nel territorio, anche su larga scala, la simmetria, l’ordine e la serialità imprimono il primato del pensiero raziocinante umano. In questo processo è determinante l’algida visione del territorio descritto dal disegno neoclassico che offre anche ai tessuti urbani l’occasione di nobilitare forme e tracciati fino a renderli disponibili per la città industriale, nella quale vengono dilatati e moltiplicati senza che però ne sia ancora modificato il fondamento ideale.
Sarà solo l’esplosione industriale (tecnologica, demografica e sociale) a sovvertire il primato della prospettiva, istituendo i principi della rappresentazione architettonica moderna che concretizza un nuovo rapporto tra l’uomo e l’ambiente, nella consapevolezza della profonda modificazione delle dinamiche di vita, del grande rinnovamento delle problematiche esistenziali e della straordinaria crescita delle disponibilità energetiche.

La rappresentazione oggi

Il ruolo attuale della rappresentazione nel prevedere, progettare e costruire l’ambiente perché sia idoneo a proteggere e agevolare la vita dell’uomo moderno, trae origine dalla necessità di cercare forme e significati per l’edificato che siano compatibili con le sue nuove dimensioni, con le nuove necessità dell’abitare e con le nuove tecniche costruttive. La vitalità innovatrice espressa dai movimenti di pensiero ottocentesco fu essenziale per mettere in crisi i precedenti modelli mentali d’impostazione del progetto. Bruno Zevi fu particolarmente incisivo nell’evidenziare come questi modelli siano stati tenaci anche quando avevano ormai perduto ogni attualità. Evidenziò l’anacronismo della prospettiva come metodo di progettazione e l’inadeguatezza della simmetria come schema di ordinamento dello spazio; propugnò invece forme di rappresentazione innovative, più idonee alla dinamica della progettazione moderna. Per tutto lo svolgersi del secolo scorso la rappresentazione si adeguò alle regole della produzione, sia nella metodologia che nei modi d’uso. L’arte del costruire diventò l’arte del produrre e gli strumenti grafici si adattarono velocemente alla necessità delle macchine, anche nel modo di presentare le idee, privilegiando spesso l’informazione tecnico-costruttiva e lasciando quella figurativa a un momento successivo di verifica. Oggi all’accresciuta molteplicità dei modelli di riferimento, che registrano l’ampliata libertà inventiva sia alla scala architettonica che a quella urbana e ambientale, corrisponde anche una personalizzazione delle modalità progettuali che esaltano la riconoscibilità dei progettisti non solo nell’opera, ma già nelle tecniche di rappresentazione. Il modo stesso di concepire le forme e di comunicarle graficamente, per la committenza, per l’utenza e per la produzione, testimonia una forte tendenza alla sperimentazione e alla personalizzazione espressiva, che spazia dal tecnicismo al formalismo, al simbolismo e alla progettazione integrale. Anche le modalità d’inserimento del progetto nell’ambiente hanno subito profonde modificazioni; il riconoscimento dei valori della preesistenza ha indotto la rappresentazione a perfezionare l’atteggiamento di “costruire nel costruito” facendo leva su una sorta di “disegnare nel disegnato” che orienta l’architettura a spaziare tra l’esaltazione della mimesi e quella della contrapposizione.
Alla scala urbanistica e territoriale si è andata affermando una forma di rappresentazione convenzionale, con consistente uso della simbologia, per rappresentare i fenomeni e le volontà di influire su di essi. Il ricorso alla rappresentazione cartografica e tematica nonché il largo uso di diagrammi e di schemi funzionali sono diventati la regola per progettare la città e i suoi annessi.
Ma a determinare il più forte sconvolgimento nel mondo della rappresentazione si è imposto oggi, con violenza, il drammatico salto dimensionale tra l’ambiente costruito com’era fino a mezzo secolo fa e quello che sta diventando con la crescita delle megalopoli contemporanee. Sfugge il senso che è possibile dare ancora a riflessioni ponderate sul rapporto tra intenzione e azione, vale a dire tra disegno e produzione, quando svaniscono i parametri logici che sarebbe necessario desumere dai modelli desiderati di vita per applicarli ai modelli di progettazione. Sfugge soprattutto quando deve riconoscersi che le manifestazioni più futuribili del costruito, della città e anche di quello che forse sta diventando l’ambiente naturale sono esito inesorabile di leggi di crescita, di mutazione e di distruzione che la rappresentazione non riesce più a controllare.

La rappresentazione nel  mondo

Quanto qui esposto si riferisce essenzialmente alle vicende della civiltà occidentale, e segnatamente a quella europea e italiana, ma le ultime riflessioni sono di carattere globale essendo diventato dominante, a livello planetario, il modello di crescita economico-sociale dell’Occidente. Riflessioni più puntuali possono essere fatte solo sulla storia passata, quando le linee evolutive dei processi di rappresentazione erano diverse, anche se più volte riconnesse dal periodico intrecciarsi di influssi reciproci conseguenti agli scambi culturali. È possibile segnalare, anche se in modo molto generale, alcune significative differenze. La cultura dell’estremo oriente ha tradizionalmente dato meno importanza di quella occidentale alla rappresentazione dell’architettura a scopo progettuale, limitando le caratteristiche forme di prospettiva assonometrica alle raffigurazioni di ambienti esistenti o fantastici. I criteri di progettazione sono stati maggiormente affidati alla memoria del costruito, usato come modello standard per la riproduzione di forme analoghe. Il più forte legame con la tradizione che ne è scaturito, favorito anche dalla maggiore presenza di paradigmi modulari e proporzionali nella tradizione costruttiva, ha comunque ceduto il passo oggi all’acquisizione dei modelli occidentali, nel costruire e nel rappresentare. La modularità ha avuto un ruolo importante anche nell’architettura islamica che, nel distaccarsi dalla tradizione romana e fin dalle prime realizzazioni del VII Secolo, ha fatto largo uso della ripetizione di moduli geometrici complessi che hanno influenzato le forme e i ritmi costruttivi e decorativi. Tale procedura ha limitato l’uso di forme di rappresentazione progettuale, trovandosi descritta l’architettura già nell’impalcato ideale del suo modello modulare tridimensionale.

Bibliografia

Borsi F., Cultura e disegno, Libreria Editrice Fiorentina, Firenze 1965; Brusatin M., Disegno/Progetto, in Enciclopedia Einaudi, ad vocem, vol. 4, Torino 1978, pp. 1098-1152; De Fusco R., Il progetto d’architettura, Laterza, Roma-Bari 1983; De Rubertis R., Il disegno dell’architettura, Carocci, Roma 1994; Ugo V., Fondamenti della rappresentazione architettonica, Esculapio, Bologna 1994.

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