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Reversibilità (restauro)

Vetulonia (Gr), tomba a Tholos "del Diavolino II" con integrazioni reversibili in elementi sagomati in pvc, fine VII sec. a.C.
Vetulonia (Gr), tomba a Tholos "del Diavolino II" con integrazioni reversibili in elementi sagomati in pvc, fine VII sec. a.C.

Espresso nella sua formulazione sintetica (“principle of reversibility”) dagli scienziati inglesi negli anni ‘70 del Novecento, il concetto di reversibilità viene in realtà elaborato a partire dal XVII-XVIII secolo con particolare riferimento alla salvaguardia dell’autenticità dei dipinti e alla possibilità di rimuovere l’intervento di restauro qualora ragioni conservative o una diversa lettura dell’opera ne sollecitino l’opportunità.

Il principio è stato attentamente perseguito, soprattutto da parte di chimici e fisici, anche nel restauro delle architetture storiche, ma è stato messo in discussione allo scorcio del Novecento, sulla base di alcune obiezioni di natura teoretica ed empirica. Fra le queste ultime si ricordano la denuncia dei fallimenti registrati nella ricerca chimico-fisica soprattutto riguardo alla messa a punto di consolidanti efficaci sulle superfici materiche e il riscontro dell’impossibilità di raggiungere, in quasi qualsiasi tipo d’intervento, una reversibilità totale. Le riserve teoretiche hanno invece fatto riferimento alla contrapposizione della reversibilità con il secondo principio della termodinamica (che prevede il naturale e irreversibile passaggio dei sistemi da una situazione di squilibrio ad una di equilibrio), nonché con i modelli ermeneutici ‘irreversibili’ del tempo, della trasformazione e dell’evoluzione, il carattere non ‘graduabile’ del concetto, la possibilità di conseguire obiettivi analoghi a quelli della reversibilità attraverso altri accorgimenti, come la selezione di interventi compatibili, non invasivi o rimovibili, l’apparente legittimazione che l’attenzione per la reversibilità offrirebbe a restauri per altri versi non apprezzabili, soprattutto da punto di vista estetico e, infine, la normale necessità di testimoniare, attraverso il restauro, la cultura e la capacità tecnica del proprio tempo.

La risposta a queste riserve muove innanzitutto dalla constatazione del reale significato del principio di reversibilità, che trova un senso e un’utilità nel porsi quale traguardo o riferimento ideale (si è parlato di “limite di riferimento asintotico” o di “principio selettivo”), consapevole della necessità di contemperare numerose esigenze diverse poste dalla conservazione in architettura. Grazie a tale riferimento sono stati in effetti raggiunti importanti risultati, con la messa a punto di tecnologie ‘soft’ efficaci e di soluzioni spaziali o costruttive flessibili e rispettose dell’architettura storica. Il tema della reversibilità ha favorito, nel restauro in architettura, l’impiego di materiali quali il ferro e il legno, il vetro e le plastiche, con esiti molto diversi fra loro. Alcuni architetti, come Franco Minissi, hanno (negli anni ’50-’80 del Novecento) fortemente indirizzato la loro ricerca espressiva nel restauro verso il conseguimento della massima reversibilità, soprattutto in campo archeologico, consentendo in alcuni casi la successiva rimozione dell’opera, che non aveva dato i risultati sperati dal punto di vista conservativo. Negli ultimi tempi, grazie alla crescente attenzione alla conservazione ambientale, il tema della reversibilità si è esteso al campo della nuova architettura e della relativa ingegneria impiantistica, favorendo lo sviluppo di tecnologie di facile assemblaggio, smontaggio e stoccaggio che hanno avuto ricadute anche sulle più recenti proposte di restauro, come ad esempio nella pavimentazione ‘temporanea’ della cattedrale di Aquileia, in travi modulari di carbonio e vetro. –

Bibliografia

Reversibilità? Concezione e interpretazioni nel restauro, Atti del convegno (Torino, 12-13 aprile 2002), Milano, 2002;  Biscontin G., Driussi G. (a cura), La Reversibilità nel Restauro: Riflessioni, esperienze, percorsi di ricerca, Atti del XIX Convegno di Studi (Bressanone, 1-4 luglio 2003), Padova 2003.

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