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Teatro (storia)

Il teatro di Sabbioneta, progetto di Vincenzo Scamozzi (Firenze, Uffizi 191 A).
Il teatro di Sabbioneta, progetto di Vincenzo Scamozzi (Firenze, Uffizi 191 A).

Origine ed evoluzione del teatro greco

La nascita, attorno al V-IV secolo a.C., di una vera e propria architettura teatrale in Occidente segue secoli di rappresentazioni all’aperto o svolte all’interno di edifici civili e religiosi, anche con l’ausilio di strutture provvisorie in legno.
L’impianto del théatron greco (θέατρον da θεάομαι = assistere, osservare attivamente) si compone di una scena (σχηνή), di un’orchestra (óρχήστςα) e di un kóilon (χoίλον = cavità) per il pubblico.
La scena, rialzata rispetto al piano dell’orchestra, è inizialmente costituita da un fondale, in tessuto o in pelle, che lascia intravedere agli spettatori il paesaggio circostante. Il semplice volume rettangolare in legno, ortogonale all’asse del kóilon, che viene in seguito costruito per ospitare camerini e depositi si arricchisce presto dell’aggiunta di due corpi terminali in aggetto (paraskénia) e, poco più tardi, viene sostituito da una vera e propria fabbrica in pietra scandita da ordinanze, con intercolumni separati da tavole dipinte (pίnakes). Il proscenio antistante la scena (προσχήνιον), su cui si svolge la recitazione, è profondo fino a più di 3 m e presenta un fronte affacciato sull’orchestra ripartito da colonne, pίnakes e perίaktoi (elementi girevoli in legno dipinto).
L’orchestra, in origine, è di forma rettangolare o trapezia e ospita cori e danze; essa assume nel IV secolo un tracciato circolare o a semicerchio allungato verso il corpo della scena, ospitando talvolta nel centro un altare dedicato a Dioniso. Al di sotto del piano di calpestio sono collocate le canalizzazioni necessarie a regolare l’afflusso delle acque e talvolta anche allo svolgimento delle rappresentazioni. L’accesso è consentito da appositi percorsi (párodoi) che fiancheggiano le pareti perimetrali del koilon.
Il profilo inclinato del koilon asseconda la morfologia del terreno e determina il disegno delle gradinate, realizzate prima in legno, poi in pietra (spesso scavando il masso fondale) e raggruppate in settori a forma di cuneo serviti da scale radiali e corridoi anulari a formare un ampio ventaglio.
L’apertura verso l’esterno e la stretta connessione visiva e spaziale fra architettura e paesaggio rappresenta il carattere distintivo del teatro greco, la cui matrice tipologica persiste in epoca ellenistica, col raffinamento di tecniche costruttive e finiture, e viene importata in Italia meridionale a partire dal II sec. a.C.
Fra i numerosi teatri greci ancora conservati (ne sono stati scavati circa 150 dalla Sicilia al Mar Nero) si ricordano quelli di Atene (dedicato a Dioniso, fine VI-II sec. a.C., fra i più antichi), di Siracusa (V-III sec. a.C., con trasformazioni del I sec. a.C.), particolarmente ampio, di Pergamo (197-159 a.C.), con cavea sensibilmente inclinata, e di Epidauro (IV-I sec. a.C.), molto ben conservato. Diversi teatri greci sono stati adattati e parzialmente ricostruiti in epoca romana, quando i nuovi costruttori, pur muovendo da una consolidata assimilazione del modello originario, giungono alla definizione di un impianto coerente e sensibilmente diverso.

Il teatro romano

Dopo la fase tardo-repubblicana, segnata dall’impiego prevalente di elementi lignei, il teatro romano si compone, a partire dallo scorcio del I sec. a.C., attorno ai due poli della scaena, di fronte alla quale recitano gli attori, e della cavea per gli spettatori, entrambi incernierati attorno ad un’orchestra. Quest’ultima viene contratta in un semplice semicerchio, perlopiù occupato dai seggi riservati ai notabili (proedria), mentre la scena accresce la sua importanza figurativa e l’intera fabbrica acquista un’inedita autonomia formale e strutturale rispetto al terreno. Il fronte monumentale della scena (frons scaenae) chiude lo spazio di recitazione e richiama, nelle forme e nelle dimensioni, il fasto e le forme degli edifici monumentali ma obbedisce, nel contempo, a chiari obiettivi funzionali (nascondendo i macchinari per le rappresentazioni) e acustici (modificando la diffusione sonora con le concavità e le convessità murarie di cui si compone); i collegamenti laterali della scena con l’involucro semicircolare della cavea separano definitivamente lo spazio interno del teatro dall’esterno. La recitazione si compie sul podio (pulpitum) soprastante il proscenio (proscaenium) e può essere celata da un sipario che si solleva dal basso. Le párodoi greche per l’ingresso all’orchestra e alla cavea vengono sostituite da passaggi voltati, inquadrati verso l’interno da archi (aditus maximi) e sormontati dai palchi d’onore (tribunalia).
La cavea si struttura prevalentemente tramite la disposizione di setti radiali collegati da volte a getto; questi sono affiancati da scale su volte rampanti e sono intercettati da ambulacri e portici concentrici all’orchestra; uno o più corridoi anulari di distribuzione (praecinctio) separano i livelli (maeniana) nelle parti basse, medie e alte della gradinata (rispettivamente denominate ima, media e summa cavea), dove siedono gli spettatori in base alla classe sociale d’appartenenza, opportunamente riparati da velaria di copertura. Una netta evidenza spaziale e volumetrica caratterizza i corridoi al di là della scena, necessari al passaggio degli attori (postscaenium), e sul retro della cavea, utilizzati dal pubblico (porticus post scaenam).
Vitruvio [Vitruvio, De Architectura, V, 3-9] descrive approfonditamente le regole di progettazione del teatro greco e romano indicando rigorosi canoni geometrici e proporzionali, in realtà raramente riscontrati sulle fabbriche ancora esistenti che, viceversa, risultano molto condizionate dai vincoli funzionali e dalla morfologia del contesto.
Dopo le prime strutture all’interno dei santuari repubblicani (Gabi, Tivoli e Palestrina, dal II al I sec. a.C.), ancora simili a quelle greche, si costruiscono i grandi teatri romani, di Pompeo (61-55 a.C.), Balbo (19-13 a.C.) e Marcello (17-11 a.C.), accompagnati e seguiti da molti altri in tutto il territorio dell’impero, con specifiche varietà compositive che distinguono gli esempi delle province più a ovest, in area gallo-romana e in Asia Minore. Per la persistenza dei fronti scenici, originali o ricomposti, sono da ricordare i teatri di Merida (16 a.C.), Orange (fine I sec. a.C.), Leptis Magna (fine I -inizi II sec.), Hierapolis (I-III sec.), Sabratha (II-III sec.) e Bosra (III sec.).

Il teatro nel Medioevo e Rinascimento

Gli spettacoli teatrali e, conseguentemente, le architetture a essi dedicate declinano notevolmente nel Medioevo, anche per le mutate condizioni religiose; le rappresentazioni, perlopiù spettacoli itineranti o celebrazioni delle sacre storie, ritornano così alle effimere strutture di strada o agli spazi interni, di chiese (soprattutto in Inghilterra) e palazzi.
Nel corso del Rinascimento, la ripresa degli studi classici e, in particolare, la nuova attenzione verso la produzione e le strutture teatrali greche e romane, nonché il contemporaneo interesse per i problemi di definizione prospettica dello spazio promuovono la definizione delle prime moderne versioni del teatro proprio all’interno dei palazzi italiani, per esempio con gli scomparsi teatri di corte dei Gonzaga a Mantova e degli Estensi a Ferrara.
Nasce in tal modo il teatro ‘all’italiana’, dotato di copertura e di una scena nettamente separata dagli spettatori, concepita non più come sfondo della rappresentazione ma come spazio che la contiene. I primi e notissimi esempi che compongono modelli e principi compositivi antichi con esigenze moderne sono il Teatro Olimpico di Vicenza, di Andrea Palladio e Vincenzo Scamozzi (1580-85) e il teatro di Sabbioneta, sempre di Scamozzi (1588-90). Nel primo, in particolare, la cavea appare delimitata da un colonnato architravato sormontato da un attico, mentre il frontescena a due ordini, con nicchie e statue, si apre ad immagini prospettiche retrostanti che illustrano quinte urbane.
Lo stesso modello viene assunto, con declinazioni diverse, nel teatro Farnese a Parma (Giovan Battista Aleotti, 1618-19). Per più di un secolo il teatro rimane comunque soprattutto legato all’architettura palaziale aristocratica, che lo ospita all’interno di una sua sala, idoneamente configurata, o in una delle sue corti, appositamente dotata di fronti esterni, loggiati e con corpi aggettanti alle estremità (facciata settentrionale della Farnesina Chigi a Roma, Baldassarre Peruzzi, 1505-11; Loggia Cornaro a Padova, Giovanni Maria Falconetto, 1524).

Il teatro in epoca barocca e moderna

Solo nel XVII secolo il teatro torna ad essere spazio pubblico (nel 1637 s’inaugura a Venezia la prima sala a pagamento) e, grazie a ciò, riafferma pienamente la sua autonomia anche dal punto di vista architettonico. In Inghilterra si afferma il modello elisabettiano introdotto allo scorcio del Cinquecento: rettangolare, poligonale o cilindrico, aperto su un cortile interno e circondato da loggiati, privo di scenografia prospettica. In Spagna il corral (cortile interno della locanda) ispira un sistema organizzato intorno ad un’area rettangolare, destinata alla recitazione, su cui si affacciano loggiati multipiano per il pubblico; nella nostra penisola, il teatro ‘all’italiana’, ormai pienamente maturato entro la prima metà del Seicento, viene aggiornato da esperimenti e ‘invenzioni’, con risultati che si affermeranno nettamente in Europa nel corso del secolo. Le nuove proposte sono qui soprattutto condizionate dall’impronta ‘razionale’ introdotta da Carlo Fontana a Roma (teatro di Tordinona, 1671), nonché dall’inserimento di ‘telari’ dipinti o dalla distribuzione di palchetti lignei perimetrali ‘ad alveare’ lungo tracciati diversi, a ‘U’, ellittici, a campana o a ferro di cavallo.
Un’originale sintesi progettuale viene offerta dalla dinastia dei Galli da Bibiena (a partire da Francesco e Ferdinando) che progettano impianti a ferro di cavallo dotati di palchetti lignei decorati per il pubblico sfalsati fra loro, perfettamente integrati con la scena e, all’esterno, con gli spazi di rappresentanza (teatro Alibert a Roma, 1719-20); tale soluzione viene ripresa, con varianti e migliorie, nella prima costruzione del teatro Argentina di Roma da parte di Girolamo Theodoli (1732), nel Teatro Regio di Torino (Benedetto Alfieri, 1701), nel primo San Carlo di Napoli (Giovanni Medrano, 1737), nel teatro alla Scala di Milano (Giuseppe Piermarini, 1776-78). Articolazioni molteplici dell’arco scenico e tipi diversi di sipario (prima a caduta, come nel teatro classico, poi a sollevamento) separano il pubblico dal palcoscenico. Il sistema dei palchi italiano, che privilegia la rigida divisione di ambienti privati sviluppati verso l’interno, viene modificato nel nord Europa con l’inserimento di balconate più ampie e meno profonde; poco frequenti sono le gradinate e la disposizione di logge in sostituzione dei palchetti.
Con il passaggio dalle ricche scenografie barocche (quando i progettisti erano nel contempo architetti e scenografi) alla sperimentazione utopica dell’Illuminismo, l’attenzione si sposta dalla ricchezza decorativa dell’apparato all’efficienza della struttura. L’arrivo del grande pubblico induce a conferire maggiore importanza agli spazi di collegamento (ingressi, scale, corridoi di raccordo) e ad organizzare la distribuzione dei posti secondo precise gerarchie sociali. La costruzione teatrale si diffonde in maniera consistente e ogni grande città europea finisce con il dotarsi di un suo teatro.
La crescita quantitativa e qualitativa (soprattutto dal punto di vista tecnologico) delle architetture teatrali prosegue per tutto l’Ottocento, determinando, con il progressivo inserimento di materiali industriali, il miglioramento della dotazione impiantistica e della sicurezza contro gli incendi (normalmente favoriti dalla presenza di componenti lignee), nonché lo sviluppo dell’apparato scenico (in Italia, macchine di sollevamento via via più complesse occupano la parte alta del palcoscenico, nascoste dall’arcoscena, mentre in Inghilterra si scelgono sistemi di calata in basso).
Il gusto monumentale, soprattutto negli ambienti dedicati al pubblico (scale, foyer, saloni, disimpegni), segna sempre di più la costruzione teatrale, mentre già nella prima metà del XIX secolo il progetto scenografico si affranca definitivamente da quello dell’architettura, acquistando un’identità autonoma e reversibile.
L’eclettismo, soprattutto in Gemania e in Francia, elabora progettualmente il teatro attraverso una combinazione di elementi tipologici e temi figurativi d’ispirazione archeologica, particolarmente curata nei fronti esterni, a ragione dell’accresciuto ruolo urbano della fabbrica. Fra gli interpreti più significativi, Gottfried Semper ha modo di sviluppare il tema del teatro come ‘macchina’ scenica e, al tempo stesso, sociale e urbana (progetti per il Teatro di Corte a Dresda) aprendo la strada all’innovazione promossa da Richard Wagner per il teatro di Bayreuth (Otto Brückwald, 1871-76). Il nuovo modello teatrale tedesco presenta la netta differenziazione fra spazi della scena e degli spettatori, il ribassamento dell’orchestra in una fossa, la semplificazione dell’apparato decorativo generale, il disegno ‘a ventaglio’ dei posti per il pubblico e un coronamento cupolato dell’edificio. Una strada diversa viene percorsa in Francia dove, con l’Opera parigina di Charles Garnier (1862-75) si giunge a un’elaborata e possente struttura, che amplifica fronti e spazi di rappresentanza e sperimenta nuove soluzioni tecnologiche, in muratura e ferro. In Italia alcuni dei principali teatri dei secoli precedenti vengono ricostruiti (San Carlo a Napoli, 1810), altri edificati ex novo, a volte con dimensioni considerevoli (Teatro Massimo di Palermo, di G.B. Filippo Basile, 1864-97).
L’introduzione del cemento armato da una parte e la spinta propulsiva delle avanguardie dall’altra condizionano le trasformazioni dell’architettura teatrale nel primo Novecento. La duttilità e la resistenza dei materiali moderni liberano la cavea dal vincolo dei sostegni intermedi e consentono l’organizzazione di una platea inferiore e di libere gallerie in alto (teatro degli Champs-Élysées, Auguste Perret, 1910-13); anche la scena si modifica, arrivando a inedite compenetrazioni con lo spazio della platea. Scompaiono le decorazioni classicheggianti e il linguaggio moderno si sperimenta soprattutto nelle nuove spazialità plastiche e nella messa a punto di ambienti e percorsi permeabili. Rappresentativo è il progetto del Totaltheater di Walter Gropius (1927), che prevede una flessibilità tipologica e spaziale che si affermerà largamente nella seconda metà del secolo. Dopo diversi secoli di sviluppo d’un tipo teatrale condiviso, il Novecento apre a molteplici varianti, affidando un ruolo sempre più marcato all’effimero scenografico, modellandosi di volta in volta in spazi non convenzionali, riproponendo, con altre modalità e attraverso nuove concezioni recitative, lo scardinamento prodotto nel medioevo del modello del teatro classico.
I teatri storici, comunque, non hanno perso la loro funzione; al contrario, la crescita d’interesse per la tragedia e le commedie antiche hanno promosso, negli ultimi decenni, la ‘rinascita’ dei teatri classici, sempre di più oggetto di restauri e integrazioni più o meno permanenti. Un significativo dibattito è stato parallelamente sollevato in merito all’opportunità e all’efficacia degli interventi d’ampliamento (la Scala di Milano, 2001-04) o di ripristino di teatri ‘all’italiana’ distrutti dagli incendi (la Fenice a Venezia, 1996-2004, il Petruzzelli a Bari, terminato nel 2008).

Bibliografia

Bozzoni, Franchetti Pardo V., Ortolani G., Viscogliosi A., L’architettura del mondo antico, Roma, 2006; Cruciani F., Lo spazio del teatro, Roma-Bari, 1992; Gros P., L’architettura romana dagli inizi del III secolo a.C. alla fine dell’alto impero. I monumenti pubblici, Milano, 2001; Morachiello P., Fontana V., L’architettura del mondo romano, Bari, 2009; Rotondi R., La costruzione del teatro. Idee e problematiche dell’età moderna, in «Rassegna di Architettura e Urbanistica», XXXIII, 1999-2000, 98-100.

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