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Terramara

Montale (Modena), Parco Archeologico, ricostruzione del villaggio terramaricolo.
Montale (Modena), Parco Archeologico, ricostruzione del villaggio terramaricolo.

Definizione – Etimologia

In origine voce dialettale emiliana, forse derivante dal latino terra mala (terra cattiva), ma più probabilmente legata ai locali depositi di marna, indica le strutture edilizie palafitticole dell’area geografica compresa tra il corso del Po e l’Appennino, corrispondente alla bassa Lombardia e all’Emilia. Datate all’età del Bronzo Medio e del Bronzo Recente (XVI-XII secolo a.C.).

Generalità

A metà dell’Ottocento, le prime indagini archeologiche furono condotte da Pellegrino Strobel, da Luigi Pellegrino e da Luigi Pigorini; è del 1862 la prima pubblicazione concernente la stazione rinvenuta nella torbiera di Castione dei Marchesi (Parma). L’interesse per gli insediamenti terramaricoli si intensificò nella seconda metà del Novecento, grazie al contributo offerto alle ricerche archeologiche nel campo della pre- e protostoria dai nuovi metodi chimico-fisici di datazione assoluta dei materiali (1945, carbonio-14).

Parallelamente, gli studi dei fenomeni sociali e l’interesse per le storie ″regionali” ricostruivano i “paesaggi” preistorici e le modifiche introdotte nel territorio dal processo di antropizzazione. Il progressivo stanziamento umano determinò la elaborazione di “villaggi” stabili, a cui si associavano gli insediamenti temporanei dei cacciatori-raccoglitori mobili nel territorio. La cultura delle terramare si pone come caso particolare delle stazioni su palafitte geograficamente collocate nell’area sud orientale della Pianura Padana.

Gli studiosi ipotizzano un’origine cisalpina e transadriatrica per le popolazioni terramaricole che avrebbero introdotto la cultura del bronzo e una strumentazione adeguata alla lavorazione del legno. La civiltà delle terramare decadde alla fine del II millennio a.C. forse a causa di mutamenti nell’organizzazione sociale e di cambiamenti climatici che hanno interessato attorno al 1200 a.C. tutte le aree egee e del Mediterraneo orientale: a Poviglio (Reggio Emilia) sono state riconosciute tracce di forte siccità, mentre a un disastroso nubifragio si dovrebbe la distruzione della terramara di Pianello di Genga, presso Sassoferrato.

Derivazione – Processo formativo

La conquista dell’agricoltura e la domesticazione degli animali ebbe ovvia ricaduta nel tipo insediativo. In questa logica, gli studiosi riconoscono nell’assetto delle stazioni di terramare una embrionale immagine “urbana” dettata da gerarchie sociali, esito della sedentarizzazione connessa a una attività agricola supportata dall’acquisizione delle tecniche di bonifica che hanno permesso la conquista e la regolamentazione del territorio.

I villaggi, estesi anche per una ventina di ettari, sono difesi da alti argini, fossati o palizzate; all’interno, le case sono disposte ai lati di viottoli tra loro ortogonali, lastricati e talvolta realizzati su stretti argini. Le capanne hanno per lo più pianta rettangolare (circa 60 metri quadrati di superficie) del tipo a palafitta (Fiavé-Carera/Trento, Bronzo Medio), ma a Monte Castellaccio d’Imola coesistono piante rettangolari e circolari. Le indagini archeologiche hanno restituito soprattutto le strutture di fondazione realizzate con palificate verticali associate a travature orizzontali, che risolvevano il problema d’assetto dovuto al terreno poco resistente e consentivano di distaccare l’abitazione dal suolo, situazione preferibile per la difesa dall’umidità e dagli attacchi degli animali selvatici. L’alzato in struttura lignea e i pavimenti erano ricoperti da argilla; all’interno, alcune tracce indicano la presenza di un focolare, mentre un’apertura pavimentale è da mettere in relazione alle fosse di scarico.

L’esempio maggiore per estensione (19,55 ha) è la terramara di Castellazzo di Fontanellato, scavata da Pigorini tra il 1886 e il 1896. La stazione, a pianta trapezia, era difesa da un argine alto circa 2 m e da un fossato, della profondità calcolata in 5 m, nel quale era addotta l’acqua del vicino torrente; otto strade fra loro perpendicolari, collocate su argini in terra battuta, dividevano le insulae dove fitte palificate sostenevano le piattaforme delle abitazioni. Sul lato est, una sorta di terrazza sopraelevata, circondata da un fossato valicato da tre ponti, è stata interpretata come un edificio sacro. All’esterno della stazione, un deposito di cinerari testimonia la presenza di una necropoli e dunque l’uso di riti funebri. Anche la terramare di Conventino di Castione dei Marchesi, sempre in provincia di Parma, conserva ampie porzioni della sua palizzata di difesa.

Nel 1987 è stato ripreso, con metodologie aggiornate, lo scavo della terramara di Santa Rosa presso Poviglio (Reggio Emilia), già indagata da Gaetano Chierici nel 1863. L’importante stazione, datata al Bronzo Medio, è articolata in due distinti insediamenti separati da un largo fossato: il minore è grosso modo quadrangolare e circondato da un terrapieno, mentre il maggiore, a sud del primo, è delimitato dal terrapieno solo su tre lati. Le indagini hanno restituito anche la palizzata di difesa del “villaggio piccolo”, costruita con tronchi di quercia giustapposti in strati orizzontali per un’altezza calcolata di circa 2 m. Durante il Bronzo Tardo, gli insediamenti palafitticoli-terramaricoli sono stati eretti anche su leggeri rilievi, suggerendo l’ipotesi che si trattasse oramai di un modo costruttivo acquisito e adottato indipendentemente dalla natura del suolo.

Esempi

Castellazzo di Fontanellato, Castione del Marchese e Forno del Gallo in provincia di Parma; Fiavé-Carrera (Trento); Gaggio di Castelfranco Emilia e Montale presso Modena; Montata dell’Orto e Rovere di Caorso in provincia di Piacenza; Ponte San Marco di Calcinato (Brescia), Monte Castellaccio d’Imola, Santa Rosa a Fodico di Poviglio (Reggio Emilia), Zaffanella di Viadana (Mantova)

Bibliografia

Bernabò Brea M., Cardelli A., Cremaschi M. (a cura di), Le Terramare. La prima civiltà padana, catalogo della mostra di Modena, Bologna, 1997; Bernabò Brea M., Valloni R. (a cura), Archeologia ad alta velocità in Emilia. Indagini geologiche e archeologiche lungo il tracciato ferroviario, Atti del Convegno, Parma, 9 ottobre 2003, in «Quaderni di Archeologia dell’Emilia-Romagna», 22, 2008; Desantis P., Labate D., Macellari R., Morico G., Serges A., Rossi M.G., Tirabassi J., Zanasi C., Ambiti culturali e facies archeologiche delle terramare emiliane in base alla revisione dei vecchi complessi e ai nuovi dati di scavo, in L’età del Bronzo in Italia nei secoli dal XVI al XIV a.C., Atti del Congresso, Viareggio 1989, in «Rassegna di Archeologia», 10, 1992, pp. 341-373; Mutti A., Provenzano N., Rossi M.G., Rottoli M., La terramara di Castione dei Marchesi, Bologna, 1988; Perini R., Scavi archeologici nella regione palafitticola di Fiavè-Carrera, I, Trento, 1984 e II, Trento, 1987; Poggiani Keller R. (a cura), Il villaggio preistorico e le fornaci di Ponte S. Marco, Calcinato, 1994.

Castellazzo di Fontanellato (Parma), pianta della terramara scavata da L. Pigorini nel 1894, (da "Memorie dell'Accademia dei Lincei", 1895).

Castellazzo di Fontanellato (Parma), pianta della terramara scavata da L. Pigorini nel 1894, (da “Memorie dell’Accademia dei Lincei”, 1895).

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