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Antropomorfismo

Il termine deriva dall’unione del greco anthropos, uomo, e morfé, forma.
L’attribuzione alla figura umana di un ruolo centrale nel disegno e nei rapporti costruttivi dell’architettura trova la prima esplicita formalizzazione in Vitruvio, ma ha radici molto più lontane nel tempo e si confonde con le origini magiche del pensiero primitivo.
L’antropomorfismo dominava nelle culture arcaiche tanto la concezione del cosmo quanto la forma delle opere dell’uomo. Le costruzioni rispecchiavano un simbolismo antropomorfico riproducendo figure e misure ricavate dall’osservazione del corpo umano, ma anche rapporti gerarchici da applicare alla disposizione dei villaggi: la testa come sede delle funzioni del comando e della decisione, braccia e gambe come simboli della produzione, l’ombelico come centro nevralgico di un luogo, se non dell’universo intero. L’etnologia ha riscontrato la persistenza di questo sfondo magico nelle culture tradizionali dell’India, in quelle tribali dell’Africa e dell’Oceania.
Nel mondo greco, che pure a partire da Senofane aveva criticato l’attribuzione di qualità fisiche e morali umane alle divinità e al cosmo, la cultura mitica localizzava il centro del cosmo (omphalós, ombelico) nel tempio di Apollo a Delfi.
Per Vitruvio l’antropomorfismo avrebbe valore morfologico, strutturale, ma riprendeva dalla tradizione un’idea più tardi condivisa anche dal Cristianesimo: il corpo umano come modello di armonia e proporzioni che assicurano buona architettura. La ripresa del motivo antropomorfico in età rinascimentale si è collocata sull’onda di una rinnovata vitalità del pensiero magico. L’immagine dell’uomo vitruviano disegnata da Leonardo intorno al 1490 è un intreccio di anatomia, geometria, matematica e simbologia che mira a rappresentare la coincidenza fra l’ordine fisico e quello spirituale.
Non molto diversamente la nozione otto- e novecentesca di Einfühlung ha legato il recupero dell’antropomorfismo alla convinzione che l’architettura, tramite le sue forme, produca stimoli fisiologici e psicologici su individui il cui benessere può essere ottenuto adeguando le componenti matematiche del progetto al ritmo organico, vitale del corpo umano. Questa versione moderna dell’antropomorfismo – che da Leonardo eredita l’interesse per la Sezione Aurea e da fonti romantiche la corrispondenza fra matematica, geometria e mondo spirituale – ha influenzato anche la cultura del razionalismo architettonico del Novecento evidenziandone, in alcuni casi, aspirazioni simboliche e tensioni cosmologiche. L’immagine monumentale della mano aperta collocata da Le Corbusier al centro della città di Chandigarh, nel Punjab (1951), è in questo senso omologa alla figura umana da lui disegnata per stabilire uno standard delle misure industriali per moduli prefabbricati, oggetti d’uso, sistemi di imballaggio (Le Modulor, 1948): è un allotropo razionale e spirituale nel quale l’aspetto magico appare inseparabile da una componente estetica.
L’architettura postmoderna ha auspicato un ritorno all’antropomorfismo in opposizione al razionalismo accademico come recupero di una dimensione di incanto da ottenere tramite una sintesi del linguaggio classico, vernacolare e pop. La proliferazione di allusioni e citazioni antropomorfiche ha portato così a riscoprire radici umanistiche e rinascimentali, ma anche a esiti paradossali ben rappresentati dalla parodia che ne ha offerto D. Foster Wallace nel romanzo La scopa del sistema (1987), il cui protagonista concepisce un quartiere residenziale che, visto dall’aereo, riproduce le fattezze dell’attrice Jane Mansfield.
Riferimenti alla simbologia del corpo umano hanno accompagnato l’adozione di tecnologie del movimento in architettura, come esemplarmente avviene nelle opere di Santiago Calatrava, valorizzando dimensioni mediatiche e rituali della costruzione.

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